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Emilia-Romagna, osservazioni al piano casa integrato

Il documento della Conferenza delle Regioni è largamente condivisibile, ma riteniamo vada arricchito da un orizzonte strategico e di intervento sulla filiera per affermare il diritto alla casa. Ci riferiamo al ruolo del pubblico come regolatore del mercato: i numeri ci dicono che il pubblico oggi non svolge questo ruolo, risponde già solo in parte all’emergenza, con conseguenze economiche e sociali nella gestione del patrimonio. Questo è il primo aspetto che va affrontato: quantità e qualità dell’offerta pubblica vanno aumentate e diversificate su tutta la filiera sia ERP che ERS.

Oggi siamo a circa 800.000 alloggi pubblici dei quali 60/70.000 sfitti, in attesa delle risorse necessarie alla manutenzione indispensabile per la riassegnazione. La media dei canoni è troppo bassa per garantire la riqualificazione del patrimonio, e anche in rapporto agli altri Paesi europei siamo a numeri e qualità dell’offerta abitativa palesemente inadeguati. Oggi bisogna potenziare l’offerta del patrimonio pubblico, allargando e diversificando il suo intervento, condizione necessaria anche per garantire la sostenibilità della gestione e salvaguardare l’efficienza del patrimonio.

Il privato non risponde alla domanda di alloggi compatibili con il reddito dei nuclei famigliari conduttori che hanno redditi medio bassi (lavoro povero), a volte mononucleari e monogenitoriali, giovani, anziani, studenti fuori sede, ai quali va garantito un rapporto tra reddito e costo dell’abitare che non superi il 30%. Per fare ciò serve un piano di investimenti per l’edilizia pubblica pluriennale, come proposto nel documento delle Regioni, a partire dalla riqualificazione e dall’efficientamento dell’esistente (recuperare tutto il patrimonio esistente da destinare anche a fasce sociali differenziate fra di loro), per raggiungere l’obiettivo “sfitto zero” e garantire la riassegnazione degli alloggi entro 12 mesi dalla loro restituzione da parte dei conduttori.

Serve un piano di potenziamento del patrimonio, da finanziare in relazione al PIL, e in linea con l’evoluzione della domanda (graduatorie) generata da redditi e pensioni bassi, in grado di garantire l’effettivo esercizio del diritto alla casa, con una particolare attenzione alle evoluzioni demografiche in atto ed ai Comuni ad alta tensione abitativa (ATA). A questo proposito riteniamo che la Regione si faccia promotrice e parte attiva per la revisione della normativa vecchia di 20 anni (Cipe 2003) che ha portato alla definizione dei comuni ATA, tenendo conto delle mutate condizioni, e considerando disponibilità e qualità del patrimonio in ragione della quantità/qualità della domanda. La revisione dei criteri è necessaria per aumentare i Comuni nei quali poter realizzare interventi di edilizia sociale.

Il patrimonio pubblico ovviamente non è sufficiente, pertanto vanno incentivati investimenti, anche con forme mutualistiche cooperative, in grado di intercettare il risparmio privato, per realizzare edilizia residenziale sociale a proprietà indivisa e vanno sollecitate le Fondazioni in grado di garantire alloggi in affitto a quella fascia di domanda strutturale che, in rapporto al reddito, necessita di canoni sotto il minimo del canone concordato, (quindi sotto il 25-30% del reddito, compresi i costi condominiali). Gli incentivi posso variare a seconda della natura delle aree utilizzate, ad esempio se si tratta di patrimonio pubblico dismesso o di cambio di destinazione d’uso, ma anche consistere in mutui a medio-lungo termine.

Promuovere le esperienze positive della Regione Emilia-Romagna

In regione ci sono esperienze consolidate e da estendere ulteriormente di risposta all’emergenza abitativa come “l’Agenzia per Affitto”, con canoni entro i valori del concordato, che danno garanzie di riscossione del canone, oltre alla garanzia di buona conservazione dell’immobile. Le agenzie vanno affiancate da strumenti di gestione dei conflitti (sedi conciliative meglio strutturate, come previsto dalla L.431/98, e servizi di mediazione abitativa) in grado di prevenire qualsiasi forma di conflitto, comprese quelle generate dalla morosità incolpevole. Realtà che vanno favorite ed estese sul territorio nazionale, per cercare di dare risposte anche alla domanda di alloggio di lavoratori e lavoratrici dalla forte propensione alla mobilità territoriale, in forte aumento negli ultimi anni, attraverso un coordinamento e una cabina di regia nazionale, che promuova il dialogo interregionale.

Il Fondo per il CONTRIBUTO AFFITTO deve diventare un intervento strutturale, come prevede la legge 431/98, prevedendo che il contributo sia erogato per garantire che il rapporto tra reddito del nucleo e il canone di AFFITTO non sia superiore alla spesa del 25-30% del reddito. A tale scopo il contributo dovrà essere erogato in maniera differenziata per ricondurre il rapporto reddito/affitto alla percentuale.

L’incremento degli affitti brevi ad uso turistico ha modificato l’offerta di locazioni riducendo la disponibilità per famiglie, per lavoratrici e lavoratori e studenti fuori sede: serve una regolamentazione del fenomeno, a livello nazionale e/o regionale, che incida sul numero totale di affitti da destinare alle piattaforme di affitto breve turistico e che lo rapporti al numero di affitti stipulati a canone concordato, nei comuni ATA, riappropriandosi del proprio ruolo regolatore nel mercato degli alloggi. Individuando, inoltre, soluzioni abitative meno invasive del tessuto sociale e delle attività e gestioni condominiali, anche rivisitando regolamenti e assetti urbanistici. Strategico diventa, a tale scopo, lo sviluppo ulteriore dell’Osservatorio per monitorare tale fenomeno.

Infine, va rivista la fiscalità, prevedendo una diversificazione del prelievo su affitti brevi, canoni liberi, canoni concordati, e per incentivare questi ultimi, istituire in tutti i Comuni la cedolare al 10%. Va contrastata l’evasione, sempre rilevante nel settore della locazione abitativa.

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