REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare MIRABELLI | Presidente |
- Francesco GUIZZI | Giudice |
- Massimo VARI | " |
- Cesare RUPERTO | " |
- Riccardo CHIEPPA | " |
- Gustavo ZAGREBELSKY | " |
- Valerio ONIDA | " |
- Fernanda CONTRI | " |
- Guido NEPPI MODONA | " |
- Piero Alberto CAPOTOSTI | " |
- Annibale MARINI | " |
- Franco BILE | " |
- Giovanni Maria FLICK | " |
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), promossi con ordinanze emesse il 29 aprile 1999 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Fiengo Raffaele e Triola Clementina, iscritta al n. 421 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1999 e il 1° luglio 1999 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Albertoni Valeria e Cadamosti Crespi Ines, iscritta al n. 606 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visti l’atto di costituzione di Albertoni Valeria nonché gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2000 il Giudice relatore Fernanda
Contri;
uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Nicolò Zanon per Albertoni Valeria
e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il Pretore di Napoli, nel corso di un giudizio in materia di locazione - nel
quale il convenuto locatore aveva proposto domanda riconvenzionale per ottenere
il risarcimento dei danni da ritardato rilascio dell’immobile locato ad uso abitativo,
quantificandoli nella differenza tra il canone di mercato e quello effettivamente
corrisposto dal conduttore - con ordinanza emessa il 29 aprile 1999, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 42, secondo comma, della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’art.
6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni
e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui esime
il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art.
1591 del codice civile, allorché sia corrisposta la maggiorazione del venti per
cento dell’importo del canone.
Il rimettente osserva anzitutto che la norma impugnata, applicabile anche alle
controversie pendenti alla data di entrata in vigore della nuova legge, stabilisce
l’entità del corrispettivo dovuto dal conduttore dopo la cessazione del contratto
in tutte le ipotesi in cui il locatore non abbia potuto porre in esecuzione il
titolo per il rilascio dell’immobile, a causa delle sospensioni della esecuzione
o della graduazione degli sfratti previste da normative precedenti o da disposizioni
della stessa legge n. 431 del 1998; il richiamo alle normative previgenti, contenuto
nella disposizione impugnata, dimostra che il legislatore ha voluto introdurre,
con effetto retroattivo, una limitazione al risarcimento del danno da ritardato
rilascio dell’immobile, determinandolo in una somma mensile pari all’ammontare
del canone dovuto alla cessazione del contratto, con applicazione automatica
degli aggiornamenti annuali nella misura del settantacinque per cento della variazione
dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi
nell’anno precedente e con l’ulteriore maggiorazione del venti per cento sull’importo
aggiornato.
Ad avviso del giudice rimettente, l’art.
6, comma 6, della legge n. 431 del 1998, predeterminando in maniera forfettaria
il maggior danno subito dal locatore, si porrebbe in contrasto con il criterio
di ragionevolezza nelle scelte legislative, poiché non consentirebbe la dimostrazione
dell’entità dell’effettivo pregiudizio cagionato dal comportamento illecito del
conduttore ed esporrebbe quindi il locatore al rischio di ottenere un risarcimento
solo parziale del danno subito, soprattutto nelle ipotesi in cui il canone corrisposto
dal conduttore sia largamente inferiore a quello di mercato.
La norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 24 della Costituzione, in
quanto al locatore sarebbe negata la possibilità di far valere in giudizio il
diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata
dalla norma stessa.
Sussisterebbe, infine, ad avviso del rimettente, una violazione della garanzia
costituzionale del diritto di proprietà, poiché la norma impugnata non consentirebbe
al proprietario di ottenere un pieno ristoro del suo patrimonio, depauperato
dal comportamento illecito del conduttore.
È intervenuto nel giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, sostenendo l’infondatezza della questione.
La difesa erariale osserva anzitutto che il bilanciamento di interessi costituzionalmente
protetti spetta al legislatore, il quale, nel caso di specie, ha attribuito prevalenza
all’interesse del conduttore rispetto a quello del locatore alla reintegrazione
del proprio patrimonio.
Tale prevalenza, ad avviso dell’Avvocatura, non sarebbe che una conseguenza della
scelta legislativa di prorogare l’esecuzione degli sfratti, la quale scelta non
appare irragionevole se posta in relazione sia alla situazione del mercato immobiliare
- caratterizzato da canoni elevati, in ragione della penuria dell’offerta di
abitazioni, cui fa riscontro un modesto reddito pro capite - sia alla
transitorietà della disciplina della proroga degli sfratti.
Il Tribunale di Milano, nel giudizio di appello avverso una sentenza pretorile
- con la quale la conduttrice di un immobile adibito ad uso abitativo era stata
condannata a risarcire il danno per ritardato rilascio nella misura del venti
per cento del canone contrattuale, ai sensi dell’art. 1-bis della legge
n. 61 del 1989, e con la quale era stata rigettata la più ampia domanda di risarcimento
proposta dal locatore - ha sollevato, con ordinanza emessa il 1° luglio 1999,
questione di legittimità costituzionale dell’art.
6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni
e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), in riferimento agli
artt. 3 e 42 della Costituzione.
Il Tribunale rimettente censura la disposizione contenuta nell’art. 6, comma
6, della citata legge, con argomentazioni analoghe a quelle svolte dal Pretore
di Napoli, ponendo in particolare risalto l’incoerenza del meccanismo risarcitorio
stabilito dalla disposizione impugnata e deducendo la violazione del principio
di eguaglianza che deriverebbe dalla parificazione di situazioni diverse.
Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la locatrice appellante, che ha sostenuto la tesi della illegittimità costituzionale della norma impugnata.
Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione sulla base delle medesime considerazioni svolte in relazione alla questione sollevata dal Pretore di Napoli.
Considerato in diritto
Il Pretore di Napoli ed il Tribunale di Milano dubitano della legittimità
costituzionale dell’art.
6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni
e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui esime
il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art.
1591 del codice civile, allorché sia corrisposta la maggiorazione del venti per
cento dell’importo del canone, prevista dalla medesima norma.
Ad avviso dei giudici rimettenti, la predeterminazione del maggior danno subito
dal locatore, così come stabilita nella disposizione censurata, non solo si porrebbe
in contrasto con il criterio di ragionevolezza nelle scelte legislative, non
consentendo la dimostrazione dell’entità dell’effettivo pregiudizio cagionato
dal comportamento illecito del conduttore ed equiparando situazioni diverse,
ma darebbe luogo anche ad una violazione della garanzia costituzionale del diritto
di proprietà, in quanto il proprietario non potrebbe ottenere il pieno ristoro
del suo patrimonio, depauperato dal comportamento illecito del conduttore. Il
Pretore di Napoli assume a parametro anche l’art. 24 della Costituzione, affermando
che al locatore sarebbe negata la possibilità di far valere in giudizio il diritto
ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella prestabilita dalla norma
stessa.
La sostanziale identità delle questioni sollevate consente la riunione dei giudizi
affinché siano decisi con un’unica sentenza.
La questione è fondata nei limiti di seguito indicati.
La legge n. 431 del
1998, recante la nuova disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili
adibiti ad uso abitativo, rappresenta sotto più profili il superamento dei precedenti
regimi vincolistici necessitati dalla grave situazione del mercato immobiliare
e particolarmente di quello locativo, che per oltre un quarantennio ha rappresentato
una delle più rilevanti cause di tensione e di conflitto sociale.
Le disastrose condizioni economiche in cui versava il Paese all’indomani della
seconda guerra mondiale provocarono una serie di provvedimenti legislativi i
quali, prorogando i contratti ovvero sospendendo le esecuzioni degli sfratti,
contribuirono a rendere meno aspro il confronto sociale in quella severa contingenza
storica, assicurando la permanenza dei conduttori negli immobili locati, in attesa
di un’opera di ricostruzione che si preannunciava lenta e difficile.
La carenza di alloggi si rivelò però come un fenomeno non transeunte né limitato
agli anni del dopoguerra: essa si protrasse nel tempo, segnatamente nelle città
verso le quali fu maggiore il flusso migratorio interno.
La riforma delle locazioni, emanata con la legge n. 392 del 1978, prende atto
che ancora a quell’epoca non erano maturate le condizioni economico-sociali per
porre termine al regime vincolistico.
Un significativo graduale ritorno all’autonomia contrattuale nella determinazione
del canone si poté realizzare con l’art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992
(Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modifiche,
dalla legge n. 359 del 1992, che
consentì alle parti di stipulare o rinnovare contratti in deroga alle disposizioni
limitative del canone contenute nella
legge n. 392 del 1978. Con la
nuova tipologia di contratti (cd. "patti in deroga"), destinata peraltro ad avere
applicazione fino alla revisione della disciplina delle locazioni, si volle perseguire
la finalità di dare impulso al mercato delle locazioni, arricchendolo di quegli
immobili rimasti per lungo tempo al di fuori di esso a causa della reazione opposta
dai proprietari ai vincoli relativi alla determinazione del canone; e ciò per
rendere più agevole il passaggio dal vecchio regime vincolistico ai nuovi modelli
locativi delineati poi dalla legge n. 431 del 1998.
La nuova disciplina delle locazioni ha avuto per scopo, come risulta dalla relazione
alla Camera dei deputati, di superare "il complesso di norme transitorie, temporanee
o derogatorie ad altre normative, che non hanno più riscontro nella realtà" e
la "liberalizzazione controllata del settore delle locazioni a fini abitativi".
Il raggiungimento dei detti obiettivi non avrebbe potuto attuarsi senza la emanazione
di norme temporanee e destinate ad agevolare la transizione al nuovo regime delle
locazioni, come quella impugnata nel presente giudizio.
L’art. 6 della
legge n. 431 del 1998, che disciplina il rilascio degli immobili, si caratterizza
per la limitazione temporale e spaziale dei suoi effetti, poiché contiene disposizioni
evidentemente volte a regolare e a definire situazioni sorte nel vigore delle
precedenti normative e circoscrive il proprio ambito di operatività ai comuni
ad alta tensione abitativa, di cui all’art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988,
n. 551 (Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità
abitative), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61.
Tali peculiarità assumono rilievo essenziale nella valutazione di costituzionalità
della norma impugnata, la quale, al comma 6, statuisce, in relazione ai periodi
di sospensione dell’esecuzione specificamente indicati e fino all’effettivo rilascio,
la misura del risarcimento del danno per ritardata restituzione dell’immobile,
quantificandola in una somma corrispondente al canone dovuto alla cessazione
del contratto, a cui si applicano automaticamente ogni anno aggiornamenti in
misura pari al settantacinque per cento della variazione dell’indice dei prezzi
al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente,
e disponendo che l’importo così determinato è maggiorato del venti per cento.
La corresponsione di tale maggiorazione esime il conduttore dall’obbligo di risarcire
il maggior danno ai sensi dell’art. 1591 del codice civile.
La norma, pur risultando formulata in termini analoghi a quelli dell’art. 1-bis
del d.l. n. 551 del 1988, che predeterminava in base ad identici parametri la
somma mensile dovuta dal conduttore, ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., durante
il periodo di sospensione dell’esecuzione, chiarisce tuttavia che la quantificazione
legale del danno opera fino all’effettivo rilascio dell’immobile, e ciò nel palese
intendimento di superare i contrasti giurisprudenziali insorti nel vigore del
citato decreto-legge in ordine all’applicabilità della disposizione nel periodo
compreso tra la cessazione della sospensione dell’esecuzione e l’effettivo rilascio.
Il legislatore del 1998, nella già rilevata finalità di agevolare la transizione
al nuovo regime locativo, ha disposto la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti
di rilascio durante il periodo di centoottanta giorni dall’entrata in vigore
della legge, quantificando correlativamente l’importo delle somme dovute dal
conduttore nel detto periodo e negli altri periodi di sospensione delle esecuzioni,
di cui all’art. 11, comma quarto, del d.l. n. 9 del 1982 e all’art. 3 del d.l.
n. 551 del 1988.
Le due misure consistenti nella sospensione dell’esecuzione e nella determinazione
del quantum sono dunque strettamente connesse, in quanto alla sospensione
ex lege dell’esecuzione corrisponde, quale previsione altrettanto eccezionale
e temporanea, la determinazione parimenti ex lege dell’indennità relativa
allo stesso periodo.
Non vi è alcun elemento di contrasto con il canone della ragionevolezza nella
previsione normativa che disponendo, attraverso la sospensione delle esecuzioni,
uno spostamento del termine di rilascio provvede anche a stabilire la misura
dell’indennità da corrispondersi nello stesso periodo, poiché essa costituisce
il risultato di una equilibrata valutazione di contrapposti interessi ed esigenze,
i cui caratteri di eccezionalità e temporaneità pongono la norma stessa al riparo
dalle censure di incostituzionalità dedotte dai giudici rimettenti.
La ragionevolezza della norma risiede quindi nel suo stesso motivo ispiratore,
consistente nel definire quei rapporti locativi sorti e sviluppatisi in epoche
di seria e spesso drammatica emergenza che ha dato origine a tutta la legislazione
vincolistica in materia; non si tratta perciò di un regime ordinario bensì di
un provvedimento a carattere temporaneo, che esplica i propri effetti nella fase
del graduale passaggio alla nuova disciplina delle locazioni.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che i limiti legali al diritto di
proprietà, previsti dall’art. 42 della Costituzione al fine di assicurarne la
funzione sociale, consentono di ritenere legittima la disciplina vincolistica
a condizione che essa abbia un carattere straordinario e temporaneo (sent. n.
108 del 1986). Il medesimo principio deve riaffermarsi con riferimento a quella
parte della norma impugnata che pone in correlazione la limitazione risarcitoria
ai periodi di sospensione ex lege delle esecuzioni, riconoscendosi ad
essa quella finalità temporanea e di emergenza, che giustifica e rende legittimo
l’intervento legislativo in esame (sentenza n. 148 del 1999 con riferimento al
limite del risarcimento del danno nelle occupazioni appropriative).
Nel contemperamento dei confliggenti interessi delle parti, il legislatore ha
tuttavia mitigato le sfavorevoli conseguenze economiche derivanti per il locatore
dalla predeterminazione della misura del risarcimento, introducendo a suo favore
una presunzione di notevole rilievo sotto il profilo probatorio: infatti la norma
in esame per un verso esonera il conduttore dall’obbligo di risarcire il danno
oltre il limite prestabilito ma per altro verso esonera il locatore stesso dall’onere
della prova del danno da ritardato rilascio, presumendone l’esistenza e determinandone
l’ammontare.
Anche sotto tale aspetto la norma appare dotata di intrinseca coerenza.
Le censure mosse dai giudici rimettenti non possono perciò condividersi: il parametro
dell’art. 42 Cost. non è certamente invocabile nella specie, poiché la funzione
sociale della proprietà, intesa quale "dovere di partecipare alla soddisfazione
di interessi generali" (sentenza n. 108 del 1986), legittima interventi legislativi
finalizzati all’attuazione di esigenze di carattere primario; né tantomeno può
valere il richiamo all’art. 24 della Costituzione, poiché la tutela giurisdizionale
dei diritti è garantita a condizione che i diritti stessi siano riconosciuti
e attribuiti da norme sostanziali (tra le tante, sentenza n. 420 del 1998).
La disposizione censurata contrasta tuttavia con il canone della ragionevolezza,
là dove estende i suoi effetti al periodo successivo alla scadenza del termine
di sospensione o di quello giudizialmente fissato per l’esecuzione, prolungando
l’esenzione fino all’effettivo rilascio dell’immobile.
Occorre considerare che mentre la predeterminazione legale del danno risulta,
nei limiti della temporaneità già sottolineati, una misura coerente alla sospensione
ope legis dell’esecuzione, non altrettanto può ritenersi nelle ipotesi
in cui essa sia svincolata da un termine di esecuzione legislativamente o giudizialmente
fissato. Potendosi verificare la mancata coincidenza tra la scadenza del termine
di rilascio ed il momento dell’effettiva riconsegna dell’immobile ed essendo
altresì ipotizzabile che tra i due momenti intercorra un periodo di tempo anche
considerevole, l’incongruenza del sistema che disciplina gli obblighi risarcitori
al di fuori del controllo giudiziale emerge con tutta evidenza.
Nelle anzidette ipotesi viene meno l’equilibrato componimento dei contrapposti
interessi, in quanto la limitazione dell’entità del risarcimento non è più sorretta
dalla ragione giustificatrice sopra illustrata e rappresentata dalla temporaneità
della esenzione in relazione ai soli periodi di sospensione della esecuzione.
La conseguente protrazione sine die dell’esenzione del conduttore dall’obbligo
di risarcire il danno secondo le regole ordinarie, essendo il termine del rilascio
ormai sottratto alla valutazione del giudice, costituisce un elemento gravemente
perturbatore di quell’equilibrio in precedenza menzionato: in esso si sostanzia
la irragionevolezza della norma.
Nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione legale ovvero
di quello fissato dal giudice e fino all’effettivo rilascio non vi è motivo
per cui non debba operare il regime ordinario, che regola il risarcimento del
maggior danno secondo la disciplina dell’art. 1591 cod. civ. e che ne rimette
al giudice la determinazione sulla base degli elementi probatori che il locatore
sarà in grado di offrire secondo le regole ordinarie.
E’ quindi costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 6, della legge n. 431
del 1998, nella parte in cui esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il
maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 del codice civile, anche nel periodo successivo
alla scadenza del termine di sospensione della esecuzione stabilito ope legis
o di quello giudizialmente fissato per il rilascio dell’immobile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 del codice civile, anche nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione della esecuzione stabilito ope legis o di quello giudizialmente fissato per il rilascio dell’immobile.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2000.
F:to: Cesare MIRABELLI, Presidente Fernanda CONTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere |
Depositata in cancelleria il 9 novembre 2000.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA