Circolare del 14 agosto 2002, n. 69
In materia di imposta di registro sono state segnalate divergenze di vedute in 
ordine al termine entro il quale gli uffici possono verificare la sussistenza dei 
requisiti soggettivi ed oggettivi per beneficiare delle agevolazioni fiscali c.d. 
“prima casa”. L’alternativa è tra il termine previsto dall’articolo 74, secondo 
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 634 (ora 
articolo 76, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di 
registro, approvato con decreto del Presidente 
della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, di seguito “testo unico”), secondo 
cui “l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di tre 
anni”, e quello di cui all’articolo 76 del citato DPR n. 634 del 1972 (ora articolo 
78 del testo unico), in base al quale “il credito dell’amministrazione finanziaria 
per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni”.
In occasione della riunione degli ispettori compartimentali delle tasse e imposte 
indirette sugli affari dell’8, 9 e 10 ottobre 1985 è stato affermato che il beneficio 
in argomento può essere revocato nel termine di prescrizione ordinario - decennale 
- previsto dall’articolo 2946 del codice civile, non rientrando la fattispecie tra 
le ipotesi contemplate dall’articolo 74 del citato DPR n. 634 del 1972. 
Sull’argomento la giurisprudenza non si è espressa in modo univoco.
La Corte di Cassazione ha sostenuto in alcuni casi che la maggiore imposta dovuta 
a seguito della revoca delle agevolazioni ha natura di imposta complementare, soggetta 
al termine prescrizionale di cui al citato articolo 78 del testo unico (Cass. 21 
maggio 1999, n. 4944); in altre circostanze invece si è pronunciata per l’applicabilità 
del termine di decadenza di tre anni (Cass. 17 settembre 1998, n. 9280; 23 luglio 
1999, n. 7947). 
Infine, le sezioni unite della Cassazione hanno avallato l’indirizzo giurisprudenziale 
favorevole all’operatività del termine di decadenza triennale ed hanno individuato 
le regole attinenti alla sua decorrenza.
(Cass., SS.UU., 6-21 ottobre 2000, n. 1196). 
Al riguardo è stato ritenuto che le citate previsioni normative decadenziali - riferite 
agli atti da presentarsi o presentati per la registrazione - hanno portata generale 
in quanto includono ogni ipotesi d’iniziativa del soggetto impositore volta alla 
richiesta dell’imposta senza delimitazioni od eccezioni in relazione all’oggetto 
della richiesta stessa e “rispondono all’irrinunciabile esigenza di porre scadenze 
perentorie per l’atto dell’ufficio, allo scopo di assicurare certezza al rapporto 
ed insieme tutelare il contribuente con la predeterminazione del tempo massimo del 
suo assoggettamento all’atto stesso”. 
A tali norme occorre quindi far riferimento “per il tempo dell’emanazione del provvedimento 
integrante esercizio del potere impositivo” e non invece “alle disposizioni dettate 
al diverso scopo di fissare la prescrizione del credito d’imposta, una volta che 
sia incontestabilmente insorto in dipendenza dell’esercizio del potere stesso”.
Quanto all’oggetto dell’accertamento dell’ufficio finanziario, la Corte di Cassazione 
ne ha tuttavia evidenziato la rilevanza al diverso fine del decorso del termine 
triennale di decadenza, il quale, non trovando specifiche regole di decorrenza in 
ambito tributario e non potendosi per questo tradurre in esclusione della decadenza 
medesima, rimane soggetto alle comuni norme di operatività dell’ordinamento (articoli 
2964 e seguenti del codice civile), “in forza delle quali il termine di decadenza, 
inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato 
comportamento, è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di 
compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso”. 
Tali principi, enucleati dalla Cassazione in ordine ad una fattispecie regolamentata 
dalla vecchia normativa, assumono rilevanza anche con riferimento a quella vigente, 
in ordine alla quale non emergono particolari problemi applicativi. 
Infatti, con riferimento alla normativa attuale, il termine triennale di decadenza 
decorre: 
1. dalla registrazione dell’atto, se oggetto dell’accertamento è la mendacità delle 
dichiarazioni previste dall’articolo 1, nota II-bis, comma 1, lettere b) e c), della 
tariffa, parte I, allegata al testo unico (si tratta, in sostanza, delle dichiarazioni 
da parte dell’acquirente di impossidenza di altra casa di abitazione nello stesso 
comune dove è ubicato il nuovo immobile e di altro immobile su tutto il territorio 
nazionale acquistato usufruendo delle agevolazioni in discorso); 
2. dallo spirare dell’anno successivo (o dei diciotto mesi, dal 1 gennaio 2001, 
ex articolo 33, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388) alla registrazione 
dell’atto, se oggetto di accertamento è la mendacità della dichiarazione prevista 
nella lettera a) della predetta nota (si tratta, in questo caso, della dichiarazione 
resa dall’acquirente di voler trasferire la propria residenza nel comune dove è 
ubicato l’immobile entro un anno dall’acquisto); 
3. dallo spirare dell’anno successivo al trasferimento a titolo oneroso o gratuito 
dell’immobile acquistato, se oggetto di accertamento è la rivendita infraquinquennale 
(si tratta, in questo caso, della decadenza dalle agevolazioni - prevista dal comma 
4 della predetta nota -). 
Viceversa, l’applicazione dei principi sopraesposti alla previgente normativa dà 
luogo ad alcune difficoltà applicative. 
Ai sensi dell’articolo 1, sesto 
comma della legge 22 aprile 1982, n. 168 e delle norme successive che hanno 
reiterato, per periodi di tempo limitati, l’agevolazione fiscale sull’acquisto della 
“prima casa”, l’obbligo di adibire il bene ad abitazione principale, a differenza 
di quanto previsto dall’attuale disciplina, costituiva, tra gli altri, requisito 
necessario per usufruire di detta agevolazione. 
La norma agevolatrice, peraltro, richiedeva una mera dichiarazione -
da inserire nell’atto di acquisto del bene - concernente l’intenzione di utilizzare 
l’immobile a propria dimora, ma non fissava un termine entro il quale il proposito 
abitativo dovesse essere attuato. 
Peraltro, si è frequentemente verificata l’ipotesi in cui l’esistenza di oggettive 
difficoltà ha impedito l’immediato adempimento dell’obbligo di trasferire la propria 
abitazione nell’immobile di nuovo acquisto. Ne è seguita l’esigenza di fissare un 
principio che assicurasse anche in questi casi il rispetto della volontà del legislatore, 
posto che, fino a quando è preclusa all’ufficio, in concreto, la possibilità di 
contestare il venir meno del beneficio fiscale, il termine decadenziale non decorre.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha evidenziato due distinte ipotesi:
. l’intento abitativo non sussiste sin dalla stipula dell’atto, in quanto la sua 
inattuabilità è immediatamente rilevabile; 
. l’intento abitativo non può, per difficoltà oggettive, essere immediatamente attuabile; 
successivamente sopravvengono talune circostanze che rendono definitivamente certa 
la non utilizzabilità del bene quale principale abitazione (ad esempio, l’immobile 
viene dato in durevole godimento ad altri soggetti, viene distrutto o, comunque, 
perde le caratteristiche che lo rendono idoneo alla destinazione abitativa). 
Nel primo caso il giorno iniziale della decadenza coincide con quello della registrazione 
dell’atto, in quanto il potere dell’ufficio di contestare l’ammissibilità delle 
agevolazioni è immediatamente esercitabile. 
Nel secondo caso, invece, il termine triennale di decadenza decorre dal verificarsi 
dell’evento sopravvenuto che rende chiaramente inattuabile l’utilizzo dell’immobile 
acquistato come abitazione principale. Infatti, se il termine di cui si discute 
venisse fatto decorrere anche in questo caso dalla registrazione dell’atto, la ratio 
della norma decadenziale verrebbe meno, in quanto il potere dell’ufficio di fatto 
non può essere esercitato sino a che risulti possibile l’utilizzo del bene. 
La posticipazione del termine nell’ipotesi di eventi sopravvenuti è stata, peraltro, 
enucleata dai giudici di legittimità solo in ordine alla decadenza del potere dell’ufficio, 
senza analizzare le conseguenze che ne derivano per il contribuente. 
Infatti, la Suprema Corte non ha evidenziato la rilevanza nell’ipotesi in esame 
dell’articolo 19 del testo unico (che ricalca il testo dell’articolo 18 del DPR 
n. 634 del 1972), secondo il quale, il verificarsi di eventi che danno luogo ad 
ulteriore liquidazione di imposta devono essere denunciati entro venti giorni a 
cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa all’ufficio che ha registrato 
l’atto al quale si riferiscono. 
L’ipotesi delineata nella sentenza in commento - verificarsi di un evento successivo 
che renda impossibile il progetto abitativo - rientra indubbiamente nella citata 
previsione dell’articolo 19 del testo unico.
Infatti, nel caso prospettato, si verifica un evento che fa venir meno il diritto 
alle agevolazioni “prima casa” e dà luogo alla liquidazione della differenza tra 
l’imposta ordinaria e quella agevolata. 
Ne consegue l’obbligo, per la parte, di comunicare all’ufficio la circostanza che 
rende inattuabile il proposito abitativo entro venti giorni dal suo avverarsi. In 
tal caso non deve essere irrogata sanzione, in quanto
- come in tutte le ipotesi previste dal comma 1 dell’articolo 19 citato -
l’obbligo al pagamento dell’ulteriore imposta sorge nel momento dell’accadimento 
citato, non ravvisandosi, pertanto, evasione di imposta da assoggettare a penalità.
Diverso è il caso, per contro, del c.d. mendacio originario, l’ipotesi, cioè, in 
cui la dichiarazione resa nell’atto di acquisto in ordine alla volontà di adibire 
l’immobile a propria abitazione risulti inattuabile sin dal primo momento. In tale 
fattispecie, come nel caso di cessione dell’immobile a titolo oneroso prima di cinque 
anni dall’acquisto, la norma agevolatrice prevede espressamente l’applicazione di 
una sanzione pari al 30% dell’imposta dovuta (né tale disposizione risulta abrogata 
dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 473, sul nuovo sistema sanzionatorio 
in materia di imposte indirette). 
Tale disposizione sanzionatoria, invece, non sembra rilevante, come sopra accennato, 
nel caso in cui l’intento dichiarato in atto sia reso inattuabile solo in un momento 
successivo alla compravendita, in quanto non si ravvisa, in detta ipotesi, l’elemento 
della falsità della dichiarazione, essenziale per la sanzionabilità della fattispecie.
Ma l’evidenziato profilo interpretativo delle norme in esame comporta un’ulteriore 
rilevante conseguenza. Nel caso in cui la dichiarazione delle sopravvenute circostanze 
di cui all’articolo 19 del testo unico (articolo 18 del previgente DPR n. 634 del 
1972) sia stata omessa ovvero resa tardivamente trova applicazione non più il comma 
2 dell’articolo 76 (articolo 74 della vecchia normativa), ma il comma 1, ai sensi 
del quale l’imposta dovuta in base alle dette denunce deve essere richiesta entro 
cinque - e non tre - anni decorrenti dal giorno in cui le stesse avrebbero dovuto 
essere presentate. 
In sintesi, nel caso di c.d. mendacio successivo: 
. il contribuente deve denunciare entro venti giorni l’evento che rende definitivamente 
inattuabile l’intento di adibire l’immobile ad abitazione principale; 
. l’ufficio deve liquidare l’imposta complementare entro tre anni dalla dichiarazione 
di cui all’articolo 19, senza comminare sanzione alcuna; 
. nel caso in cui la prescritta dichiarazione non sia stata presentata, l’ufficio 
deve liquidare la differenza di imposta entro cinque anni dall’evento che ha reso 
inattuabile l’abitabilità del bene ed applicare le relative sanzioni ai sensi dell’articolo 
69 del testo unico (più favorevole rispetto all’articolo 67 del DPR n. 634 del 1972).
Nel caso, invece, di mendacio originario l’ufficio deve, entro tre anni dalla data 
di registrazione dell’atto, liquidare la differenza di imposta, nonché la sanzione 
del 30%. 
La consapevolezza dell’oggettiva difficoltà nella valutazione delle circostanze 
che possono posticipare il termine iniziale del decorso della decadenza non ha mutato 
l’orientamento dei giudici di legittimità. 
Pertanto, per l’individuazione nella singola controversia di detto giorno iniziale, 
in mancanza di una diversa statuizione normativa, si applica, nei singoli casi, 
il principio generale sull’onere della prova di cui all’articolo 2697 del codice 
civile. 
In applicazione di tale principio, gli uffici, a sostegno della tempestività della 
propria azione, in ipotesi di contestazione devono provare le circostanze che hanno 
posticipato il termine iniziale, anche desumendole dagli stessi scritti difensivi 
del contribuente. 
Inoltre, spettando al contribuente provare il venir meno del potere dell’amministrazione 
di contestare l’agevolazione fiscale, gli uffici potranno eccepire negli atti difensivi 
l’eventuale mancata allegazione di detta prova. 
Tutto ciò premesso, si rende necessario, sulla base dei principi esposti, rivedere 
le posizioni amministrative in materia e integrare, ove occorra, la difesa dell’amministrazione 
in sede contenziosa. Qualora, per contro, il termine triennale o quinquennale, computato 
secondo le regole sopradelineate, sia scaduto al momento di notifica dell’atto impositivo, 
le relative controversie tributarie tuttora in corso dovranno essere abbandonate 
con le modalità di carattere generale illustrate nelle circolari 15 maggio 1997, 
n. 138*E e 30 novembre 2000, n. 218*E. 
Sarà altresì necessario integrare ugualmente le istruttorie già trasmesse all’Avvocatura 
generale dello Stato, in ordine alle controversie pendenti avanti la Corte di Cassazione.