REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
IN PERSONA DEL MAGISTRATO DR. SSA ISABELLA MARIANI
Ha emesso la seguente
SENTENZA
Con lettura in udienza di dispositivo
Nel giudizio iscritto al n. 5625/98 R.G.
T r a
FERRADINI BERNARDO, domiciliato in Firenze, presso lo studio del procuratore costituito avv. Marella Mostri, che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine del ricorso
RICORRENTE
C o n t r o
FALANGA MARIA ANTONIETTA, domiciliata in Firenze, presso lo studio del procuratore costituito avv. Claudia Landini, che la rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta
RESISTENTE
Con le seguenti conclusioni:
Per Ferradini Bernardo: “come da verbale 20 marzo 2003”
Per Falanga Maria Antonietta: “come da verbale 20 marzo 2003”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in Cancelleria il giorno 10/11/1998 e ritualmente notificato
alla Falanga Maria Antonietta, unitamente al pedissequo decreto, in data 1/12/1998,
il Ferradini Bernardo esponeva che in data 8 maggio 1995 aveva acquistato un appartamento
sito in Firenze, Via Ghibellina n. 27; che l’immobile era condotto in locazione
ad uso abitativo dalla Falanga Raffaella; che, a seguito di intimazione di sfratto
dei precedenti proprietari, il Pretore di Firenze aveva convalidato lo sfratto con
ordinanza in data 26/5/1988 e aveva fissato per l’esecuzione il giorno 31 dicembre
1992; che – a causa della mancata restituzione dell’immobile acquistato – si era
visto costretto a stipulare un contratto di locazione di un appartamento posto in
Firenze, Piazza S. Stefano n. 2, per soddisfare le proprie esigenze abitative; che
l’inquilina aveva sempre pagato il canone di locazione.
Il ricorrente chiedeva quindi il risarcimento del danno ex art. 1591 c.c. derivante
dal mancato rilascio dell’immobile da quantificare nella misura corrispondente alla
differenza tra il canone effettivamente corrisposto per la conduzione dell’appartamento
di Piazza S. Stefano n. 2 e quelli da lui percepiti come locatore dell’appartamento
di Via Ghibellina n. 27, oltre alle spese di trasloco, da liquidarsi in separata
sede.
La Falanga Maria Antonietta si costituiva all’udienza del giorno 17/2/1999 e chiedeva
il rigetto della domanda del ricorrente. Esponeva la resistente che il Ferradini
aveva acquistato l’immobile ad un prezzo inferiore a quello di mercato proprio grazie
al fatto che detto immobile era occupato; che il Ferradini aveva effettuato l’acquisto
nella consapevolezza di non poter prevedere quando sarebbe potuto entrare in possesso
dell’immobile per la presenza dell’inquilino; che l’art. 6, VI comma, della legge
9/12/1998 n. 431 aveva limitato il risarcimento del maggior danno all’aumento del
20% del canone dovuto alla cessazione del contratto e che la resistente aveva cercato
di reperire un’altra abitazione sin dal 1993 partecipando ai bandi per l’assegnazione
delle case popolari.
La causa veniva istruita a mezzo dei documenti prodotti dalle parti e di consulenza
tecnica e veniva decisa, previa discussione, all’udienza del 20 febbraio 2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La materia oggetto di causa è regolata dall’art. 6, VI comma della legge 9 dicembre
1998 n. 431, legge che è entrata in vigore pochi mesi dopo l’instaurazione del presente
giudizio e che è ad esso applicabile trattandosi di legge di interpretazione autentica
della norma dettata dall’art. 1-bis della legge 61/89, già in vigore in epoca precedente
al presente giudizio e disciplinante la quantificazione della somma dovuta dal conduttore
durante il periodo di sospensione dell’esecuzione dello sfratto.
Per effetto dell’art. 6, VI comma, della citata legge 431/98, così come modificato
a seguito della sentenza 25 ottobre 2000 n. 482 della Corte Costituzionale, il locatore
può ottenere dal conduttore – in mora nel rilascio dell’immobile – il risarcimento
del danno che deve essere quantificato ex lege nella maggiorazione del 20%
della somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto
per il periodo di sospensione ope legis delle esecuzioni (o per quello giudizialmente
fissato per il rilascio), mentre per il periodo intercorrente tra la scadenza della
sospensione ope legis e la data dell’effettivo rilascio può essere quantificato
in base alle prove offerte dal locatore in misura tale da consentire il ristoro
del maggior danno ai sensi dell’art. 1591 del codice civile.
Orbene, il ricorrente domanda il risarcimento del maggior danno a norma dell’art.
1591 c.c. ed afferma che la disciplina sopra richiamata non sarebbe applicabile
nel caso di specie perché il conduttore non avrebbe corrisposto la somma fissata
dall’art. 6 della citata legge, con la dovuta maggiorazione del venti per cento.
In altre parole, il ricorrente ritiene che la limitazione legale del risarcimento
del danno sarebbe applicabile solo al conduttore che ha pagato le somme nella misura
dettata dalla citata normativa e non al conduttore che invece non si sarebbe attenuto
a detta normativa.
Questa tesi non è condivisibile perché l’art. 6, VI comma, legge 431/98, così come
modificato a seguito della sentenza 25 ottobre 2000 n. 482 della Corte Costituzionale,
detta un limite legale alla misura del risarcimento per mancato rilascio dell’immobile
in caso di sospensione dell’esecuzione del rilascio, limite che non può essere superato
attraverso l’applicazione dell’art. 1591 c.c., espressamente derogato sul punto.
Peraltro il ricorrente non ha domandato la maggiorazione del 20% della somma mensile
pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto, ma ha domandato
il risarcimento del maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c. da quantificare nella
misura della differenza tra i canoni pagati da esso ricorrente per una locazione
abitativa stipulata nel 1997 e i canoni percepiti dalla resistente.
Ne consegue che la domanda del ricorrente, così come sopra riportata e ribadita
in sede di precisazione delle conclusioni e nelle note difensive, deve essere interpretata
nel senso che lo stesso ha inteso agire in giudizio per ottenere il risarcimento
del danno per mancato rilascio in corrispondenza dei periodi di mora non accompagnati
dalla sospensione ope legis delle esecuzioni.
Solo in tale periodo – infatti – l’avente diritto al rilascio può pretendere il
risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c. senza il limite legale di cui sopra
si è detto.
Orbene, prima di verificare se dal momento dell’acquisto dell’immobile da parte
del ricorrente (8/5/1995) fino al momento della consegna da parte del resistente
(28/3/2002) si siano verificati dei momenti di sospensione ope legis delle
esecuzioni occorre vedere se il ricorrente ha dato la prova rigorosa di aver subito
un danno e dell’ammontare di tale danno a causa della mora del resistente.
Dalla lettura degli atti deve immediatamente evidenziarsi che il ricorrente non
ha assolto all’onere della prova dello specifico danno che sarebbe derivato nel
caso di specie dal ritardo nella riconsegna dell’immobile.
Infatti, il fatto che il ricorrente abbia stipulato un contratto di locazione ad
uso abitativo non consente di poter affermare che lo stesso abbia assolto all’onere
della prova sopra detto in quanto – a ben vedere – difetta la prova del nesso di
causalità tra la detta contrattazione ed il ritardo nella restituzione.
Sul punto dovrà considerarsi la conoscenza che il ricorrente aveva, allorquando
ha acquistato l’immobile, dell’occupazione di detto immobile da parte della resistente
e dell’esistenza di una procedura di rilascio in corso. Non solo, ma dovrà altresì
tenersi conto che la stipula del contratto di locazione da parte del ricorrente
risale ad epoca di molto successiva (13/10/97) rispetto all’acquisto dell’immobile
occupato dalla resistente (8/5/1995).
Queste circostanze fanno fondatamente presumere che il ricorrente non avesse la
necessità inevitabile di adibire a propria abitazione l’immobile occupato dalla
resistente e quindi di dover sopperire a detta mancanza con la stipula di specifica
locazione abitativa.
Dall’altra parte, la resistente ha dato la prova che il ritardo è stato determinato
da causa ad essa non imputabile in quanto ha dimostrato di aver partecipato ai bandi
delle case comunali e di non essere riuscita ad aggiudicarsi l’immobile per fatti
ad essa estranei.
E’ oltretutto notoria la difficoltà di reperire un’abitazione sul mercato di Firenze.
Ne consegue che la resistente ha fatto tutto quanto era in suo potere per adempiere
all’obbligazione restitutoria ed il ritardo non può essere ricondotto alla sua colpa.
Tutte le domande proposte dal ricorrente devono pertanto essere respinte.
Le spese di giustizia sostenute dalla resistente devono essere sopportate dal ricorrente
per la soccombenza di quest’ultimo e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Isabella Mariani:
Firenze, lì 20 marzo 2003
Il Giudice Unico – Dr. Isabella Mariani