CNEL

 

Consiglio Nazionale  dell’Economia e del Lavoro

 

 

Osservazioni e Proposte sulle Politiche abitative

27 Settembre 2006

 

 

PREMESSA

OSSERVAZIONI

L’Europa.

Quadro istituzionale e risorse.

PROPOSTE

La crisi del mercato privato dell’affitto.

Patrimonio abitativo pubblico.

L’edilizia residenziale pubblica (Erp).

L’edilizia agevolata in locazione e per alloggi di transizione.

Fiscalità immobiliare.


 

PREMESSA

 

Nel Paese circa il 73 % delle famiglie è proprietaria dell’abitazione in cui vive. A fronte di questo dato sono presenti aree di criticità che incidono sulla coesione economica e sociale.
In particolare il “caro-casa” ha raggiunto negli ultimi anni livelli particolarmente pesanti per le famiglie con reddito medio e medio - basso, tenuto conto che i costi dell’indebitamento per l’acquisto e i livelli degli affitti nelle grandi città in particolare, ma non solo, sono rapportabili almeno ad uno stipendio per le famiglie con due redditi e superiori all’intero reddito delle fasce deboli.
Più in generale i costi dell’abitare, incidendo pesantemente nella gerarchia dei consumi delle famiglie, determinano problemi economici che travalicano il limite del costo  casa per divenire motivo di freno per la crescita del Paese.
Le ragioni di questo disagio vanno ricercate soprattutto nella lievitazione continua dei prezzi registrata negli ultimi anni, derivante in particolare da una lunga congiuntura del mercato immobiliare capace di garantire alti rendimenti rispetto ad altre forme di investimento.
E’ questa una situazione che ostacola il manifestarsi di una offerta abitativa nuova, articolata e diversificata sul territorio, più rispondente alla nuova domanda che nasce dai processi economici e sociali in atto e che richiederebbe un allargamento dello stock di residenze in affitto, non già una sua contrazione.
Da qui il disagio abitativo che colpisce in modo particolare le famiglie monoreddito, le giovani coppie,i single, le ragazze madri, le famiglie con disabili, gli anziani, gli studenti, i lavoratori che si trasferiscono per motivi di lavoro, gli immigrati costretti a vivere in condizioni di precarietà e di sovraffollamento
Si tratta di una importante platea sociale, portatrice di esigenze abitative nuove derivanti da una concezione della casa come “bene d’uso”, come servizio flessibile e adattabile ai diversi cicli della vita familiare e personale.
E’ per dare risposte più adeguate a questa domanda sociale che si pone l’esigenza di un intervento nella  politica della casa.
Un intervento da collocare in particolare nel quadro di mobilità e di flessibilità propri delle attuali dinamiche sociali e del mercato del lavoro, sapendo appunto che la casa è diventata oggi  un problema che condiziona il percorso di vita e di lavoro di una parte non piccola della popolazione, quella parte più esposta, più sensibile, più debole.
Un impegno questo che non può non chiamare in causa la responsabilità dello Stato e delle istituzioni regionali e locali in quanto investe nel suo insieme la dimensione economica, dello stato sociale, dei consumi e dei diritti di cittadinanza.

 

OSSERVAZIONI

Il CNEL ritiene che, in considerazione dei numerosi interessi che coinvolge, la realizzazione di una moderna politica abitativa richiede una molteplicità di azione e l’opera convergente e responsabile di una pluralità di livelli istituzionali, in un rapporto aperto, collaborativo e solidale con le parti sociali rappresentative dei diversi interessi, a partire da quelli più deboli.

 

L’Europa

Il problema dell’abitare, pur se allo stato attuale non è compreso nell’ambito del trattato europeo e di conseguenza ritenuto estraneo alle politiche di integrazione, sta diventando oggetto di una sempre maggiore attenzione da parte dei Paesi dell’Unione.

E’ del tutto evidente infatti che le politiche di allargamento dei mercati, la libera circolazione del lavoro, la pressione dell’immigrazione, devono fare i conti con la difficoltà di trovare un alloggio sia per brevi periodi (vedi affitto), sia per una stabile collocazione familiare.

Ci si interroga, dunque, sulla promozione di una politica abitativa capace di rispondere alle necessità di mobilità e di integrazione legate al lavoro.

Anche se non ci  sono ancora le condizioni per ipotizzare a breve una politica europea per l’abitazione sociale, si ritiene tuttavia necessario cominciare quanto meno a porre l’esigenza che, nella partecipazione ai costi di una politica abitativa finalizzata alla mobilità del lavoro e dell’integrazione sociale, possano essere previste opportune linee di azione e di sostegno nell’ambito del bilancio europeo.

A tale scopo si ritiene che il Governo debba farsi promotore, in sede di UE, di specifiche iniziative affinché la politica abitativa trovi il necessario riconoscimento.

Comunque è necessario, al fine di evitare che gli aiuti pubblici all’edilizia sociale  vengano considerati infrazione alla concorrenza, che il Governo italiano proceda al più presto, entro Dicembre, alla definizione dei caratteri dell’alloggio sociale ai fini del  riconoscimento di “servizio sociale di interesse generale”.

 

Quadro istituzionale e risorse

In base alla riforma del Titolo V della Costituzione le Regioni hanno competenza in materia di politica della casa. Ad oggi, tuttavia, ancora non è stato individuato il meccanismo di finanziamento dell’edilizia sociale sostitutivo del contributo ex Gescal e, di conseguenza, il passaggio della titolarità  alle Regioni è avvenuto senza il trasferimento delle risorse necessarie.

In questo ritardo il CNEL avverte con preoccupazione il rischio di un blocco dell’offerta di edilizia sociale a sostegno delle famiglie più disagiate.

Nel corso delle audizioni svolte dal CNEL numerose organizzazioni hanno  sostenuto l’esigenza di destinare all’intervento pubblico nell’edilizia abitativa non meno di un miliardo di euro/anno (solo in parte corrispondente al flusso di risorse garantito nel passato dalla ex Gescal) sollecitando a questo fine la soluzione del problema nell’ambito di un accordo che preveda la compartecipazione di Stato e Regioni, tenendo anche conto delle diverse esigenze tra Nord-Sud del Paese.

E’ stato sollecitato inoltre di aumentare la dotazione del Fondo sociale per l’affitto (art. 11 della 431/’98) dai 230 milioni di euro attualmente previsti ad almeno 500 milioni di euro annui. Il Fondo dovrebbe così diventare uno strumento di welfare nel mercato dell’affitto per tutte le famiglie a basso reddito, consentendo agli enti locali di intervenire nelle situazioni di disagio abitativo in caso di carenza dell’offerta a canoni socialmente sostenibili.

Queste sollecitazioni inducono il CNEL a ritenere che sia necessario definire con chiarezze gli apporti dei diversi livelli istituzionali in materia abitativa. In particolare il CNEL ritiene che, nell’ambito della competenza delle Regioni e sulla base del principio che assegna allo Stato la responsabilità di definire e garantire standard minimi a livello nazionale, siano individuati meccanismi di co-finanziamento Stato-Regioni dell’edilizia sociale sostitutivi dei contributi ex Gescal.

Si ritiene inoltre urgente, al fine di acquisire elementi utili alla valutazione e quantificazione  dei fabbisogni abitativi, l’attivazione dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione Abitativa, già previsto in normativa, collegandolo con gli Osservatori istituiti dalle Regioni. L’osservatorio deve costituire il primo livello di confronto attivo fra i soggetti interessati al settore.

 

 PROPOSTE

 

La crisi del mercato privato dell’affitto

La legge 431/’98, nota come riforma degli affitti, avrebbe dovuto, attraverso la liberalizzazione dei canoni, gli incentivi fiscali per i proprietari e il bonus casa per gli inquilini a basso reddito, sbloccare un mercato immobiliare “ingessato”, combattere l’annoso fenomeno dei contratti in nero e delle case sfitte, dare impulso, attraverso il canale concordato, all’offerta di case a prezzi equi ed accessibili. L’obiettivo era di regolare il libero mercato, prevedendo norme che lo rendessero, nel contempo, economicamente sopportabile e trasparente.

A circa otto anni di distanza il bilancio sugli effetti della 431/98 è particolarmente critico.

La liberalizzazione dei canoni ha comportato, dal 1998 ad oggi, una crescita straordinaria degli affitti, con livelli record nelle città metropolitane.

La percentuale dei contratti “concordati” non supera il 20% del totale, anche a fronte degli incentivi previsti da alcuni comuni attraverso l’abbattimento dell’ICI.

Prevalgono di gran lunga i contratti stipulati col canale “libero”.

Di fatto la legge di riforma si è dimostrata inadeguata a far fronte alle dinamiche del mercato immobiliare, in particolare manifestatesi dopo il 2001.

Una delle cause che più ha contribuito alla lievitazione degli affitti è stata la forte crescita dei prezzi degli immobili. Dopo il 2001 l’incertezza dei mercati azionari e il rischio di recessione hanno convinto  investitori istituzionali,  gruppi economici e produttivi, le famiglie, ad investire nel “mattone” tornato ad essere considerato un investimento sicuro e redditizio. Questa forte pressione di investimenti sul mercato immobiliare, sostenuta in particolare  dai grandi investitori,  ha determinato come conseguenza una lievitazione dei valori dell’intero mercato su livelli mai prima raggiunti.

Una delle conseguenze è stata l’incremento del livello dei canoni di affitto. La contrazione dell’offerta a costi compatibili contestuale alla minore capacità di spesa delle famiglie italiane, conseguente in parte all’effetto euro ed in parte alla crisi economica, a creato le condizioni, tra l’altro, dell’insorgenza di una nuova “questione sfratti” che interessa non più e non solo bassi redditi, anziani e portatori di handicap.

Da questo quadro emerge la necessità di modificare la legge 431/’98, al fine di superare gli evidenti limiti messi in luce dalla liberalizzazione del mercato dell’affitto. In particolare, è matura l’esigenza di :

-          introdurre un sistema più efficace di incentivi e disincentivi fiscali per la proprietà al fine di rafforzare il ricorso all’applicazione del canale concordato, tendenzialmente per l’intero mercato dell’affitto, ad eccezione degli immobili di lusso individuati secondo criteri da ridefinire in sede contrattuale;

-          fare del fondo sociale per l’affitto uno strumento di welfare per tutte le famiglie a basso reddito, consentendo agli enti locali di intervenire tempestivamente, per periodi limitati e strettamente necessari, nelle situazioni di disagio abitativo;

-          stabilire sistemi di regolazione delle procedure per l’esecuzione degli sfratti, attraverso una programmazione concordata in sede territoriale,  tenendo conto delle concrete possibilità delle famiglie sfrattate di trovare un nuovo alloggio.

         Inoltre, al fine di assicurare la dovuta unicità di intervento nell’intero settore, la 431/98, opportunamente modificata, può divenire una legge di spesa che, oltre a regolare il mercato privato, definisca anche i criteri di gestione ed i finanziamenti sia dell’ERP, sia dell’edilizia agevolata in locazione. 

 

 

Patrimonio abitativo pubblico

Un contributo significativo alla ulteriore  contrazione del mercato dell’affitto è derivato dal processo di dismissione degli immobili residenziali degli Enti previdenziali, degli ex IACP e dei Comuni in particolare nelle aree metropolitane dove più è concentrato questo patrimonio.

L’alienazione degli immobili pubblici è avvenuta infatti al di fuori di qualsiasi relazione con le esigenze di politica abitativa, con la conseguente sottovalutazione delle ricadute sociali e di mercato.

Circa centocinquantamila unità abitative degli enti previdenziali non sono più disponibili all’affitto. Intanto continua l’alienazione degli immobili residenziali degli enti locali e regionali e, con la Scip 3, di gran parte del patrimonio abitativo del ministero della Difesa. Se a ciò si aggiunge che anche importanti compagnie d’assicurazione e banche hanno attuato processi di dismissione e vendita dei loro immobili residenziali, concentrati soprattutto nelle grandi città, si comprende bene come l’effetto della contrazione dell’offerta abitativa in affitto abbia determinato l’incremento ulteriore del livello dei canoni.

Non è da sottovalutare inoltre che il processo di dismissione da tempo in atto, ha determinato il diretto intervento delle grandi società immobiliari che, interessate all’incremento di valore degli immobili una volta acquistati, promuovono il loro cambio di destinazione.  Ciò si sta  ripercuotendo negativamente sui prezzi di vendita, diventati inaccessibili per un’alta percentuale di famiglie e sta alimentando ulteriormente il processo di terziarizzazione di zone centrali, con la conseguente espulsione dei residenti verso la periferia.

Al riguardo il CNEL, oltre ad esprimere una forte preoccupazione in rapporto ai crescenti rischi di svuotamento e/o ghettizzazione delle zone centrali delle grandi aree urbane,  individua la necessità di tutelare le famiglie che abitano nelle case messe in vendita, garantendo ad esse innanzitutto il diritto all’acquisto a prezzi equi e ragionevoli o un nuovo contratto di locazione con il canale concordato.

Si ritiene necessario inoltre modificare la L.410/01, relativa alla vendita di alloggi di enti pubblici tramite apposite società, estendendo a tutti i conduttori la possibilità di acquistare con equità di trattamento, garantendo la permanenza in affitto ad anziani e famiglie a basso reddito e rivedendo i criteri per l’individuazione degli immobili di pregio.

Si ritiene infine che un impegno nel settore immobiliare da parte degli Enti Previdenziali, attraverso Fondi immobiliari che abbiano al loro interno una parte consistente di edilizia residenziale, potrebbe dare un notevole contributo all’aumento dello stock abitativo in locazione, soprattutto nelle grandi città. 

 

L’edilizia residenziale pubblica (Erp)

        Diversi sono stati i fattori che hanno contribuito nel corso degli ultimi anni, a restringere sensibilmente il mercato dell’affitto e, senza un cambiamento delle tendenze in atto, lo stock di abitazioni in affitto che si aggira intorno al 20 % del totale (cinque milioni su ventisei milioni di abitazioni censite, di cui circa ottocentomila di Erp) è destinato a impoverirsi ulteriormente.

         La vendita generalizzata del patrimonio ERP prevista nell’ultima finanziaria, se non bloccata, aggraverà ulteriormente la situazione.

A fronte di questo scenario se per i livelli di reddito medio-alti continuerà la spinta all’opzione per la proprietà, causa comunque di distrazione di risorse dai consumi correnti,  per le fasce sociali più deboli si apre invece una prospettiva di maggiore precarietà, con rischi di esclusione abitativa e di maggiore bisogno di interventi assistenziali. Secondo Federcasa sono 600 mila le domande inevase degli aventi diritto all’assegnazione di un alloggio popolare.

E’ del tutto evidente come in queste condizioni diventi prioritario un intervento pubblico in favore delle famiglie con un reddito basso o medio-basso, per le quali la soluzione del problema abitativo non può essere affidata al mercato privato, ma deve essere trovata nell’ambito di un rilancio dell’edilizia sociale.

Il rilancio dell’Edilizia residenziale pubblica si pone infatti come condizione essenziale per il riequilibrio dell’intero mercato in quanto, risolvendo i problemi abitativi per le famiglie più povere, permette una maggiore dinamicità del mercato privato, assicurando un livello sopportabile per i soggetti che necessitano di una abitazione.

L’obiettivo è dunque il consolidamento e l’allargamento del patrimonio Erp, stimolando i processi di riforma e di riqualificazione già avviati in molte regioni e che vanno maggiormente coordinati a livello nazionale attraverso una normativa quadro contenente anche la definizione di standard di riferimento tesi ad assicurare una gestione più efficiente con particolare riferimento ai livelli manutentivi e dei servizi, ai canoni ed alla morosità, alla mobilità in entrata ed in uscita dall’ERP.

E’ necessario intervenire, inoltre, per adeguare l’investimento alla tipologia della domanda attuale, con interventi di risanamento e recupero edilizio ed urbano che diano continuità ai “contratti di quartiere” e che avviino programmi di ristrutturazione degli immobili e di adeguamento strutturale degli stessi per i soggetti deboli e per gli anziani oltre che di  rinnovo urbano al fine di non erodere ulteriormente il territori extraurbano.

         Nel contempo occorre avviare una seria riflessione  sull’esaurimento in aree di espansione della funzione della legge 167/1962. E’ noto infatti che, oltre alle difficoltà economiche di reperimento delle risorse, lo sviluppo dell’ERP è penalizzato anche dalla carenza di aree. È dunque opportuno ripensare la normativa dei piani di zona in funzione di una loro maggiore efficacia di intervento nelle zone già edificate. A tale scopo, possono individuarsi, in quasi tutti i Comuni italiani, aree di trasformazione, ossia aree che, avendo perso una loro originaria funzione, possono essere destinate a nuove funzioni. Su tali aree (analogamente a quanto avviene in altre città europee, ed anche in Comuni italiani), si può prescrivere all’operatore privato che, accanto all’investimento immobiliare a rendimento, egli realizzi anche quote di edilizia convenzionata, preferibilmente in locazione. Una norma nazionale di indirizzo potrebbe spingere Regioni e Comuni ad inserire questa previsione nei piani urbanistici e nei regolamenti comunali.

In questo quadro un ruolo non secondario spetta alle Regioni che, attraverso gli opportuni interventi legislativi, dovranno indicare gli obiettivi che intendono realizzare, le regole e gli strumenti per la loro attuazione, la definizione di appositi capitoli di spesa nelle leggi finanziarie regionali, correlate con programmi di intervento pluriennali.

Compito delle Regioni deve essere, inoltre, quello di assicurare certezze alla programmazione della politica abitativa attraverso l’attivazione degli Osservatori regionali sulla condizione abitativa, collegandoli con l’Osservatorio istituito presso il ministero delle Infrastrutture. Dall’attività di monitoraggio della domanda e di conoscenza degli interventi programmati, deriva il necessario orientamento degli operatori pubblici e privati.

Si ritiene infine che l’interdisciplinarietà del settore caratterizzato dalla necessità di interventi di sostegno e di investimenti produttivi collegati ai piani di urbanizzazione e da una diversa distribuzione delle aree, necessita l’istituzione, soprattutto nelle grandi città, di veri e propri “assessorati alla casa” superando l’attuale criterio che si basa sulla attribuzione di deleghe all’interno di assessorati più ampi.

 

L’edilizia agevolata in locazione e per alloggi di transizione

Considerato che allo stato non esistono le condizioni di bilancio per un intervento pubblico capace di soddisfare in tempi adeguati e per intero la domanda sociale storica ed insorgente, è comunque  necessario e utile promuovere iniziative integrative dell’intervento pubblico.

Da questo punto di vista lo sviluppo dell’edilizia agevolata è la risposta più adeguata per tutti coloro che hanno un reddito troppo alto per accedere all’Erp o al Fondo per l’affitto, ma troppo basso per trovare una soluzione nel mercato privato delle case in affitto o in vendita

In questo senso di particolare importanza è la promozione di un programma di sviluppo di edilizia agevolata in locazione, sul modello già promosso sperimentalmente con la legge 21/2001 sul “disagio abitativo”, che peraltro non è stata completamente attuata a causa del taglio dei fondi Il suo rifinanziamento potrebbe costituire un valido strumento per affrontare alcune priorità che altrimenti non troverebbero soluzioni sul libero mercato.

In particolare al progetto delle case per anziani, che va rifinanziato, potrebbero seguirne altri per giovani, immigrati e  per lavoratori in mobilità per ragioni di formazione o di lavoro. Si tratta di segmenti importanti di domanda abitativa che possono trovare risposta con la realizzazione di programmi finalizzati a dotare le città di alloggi in affitto  temporaneo.

Le potenzialità che offre la legge 21/’01 richiamano ancora una volta  l’attenzione al ruolo primario delle Regioni in merito alla programmazione degli interventi, alle risorse aggiuntive da mettere in campo, ai tempi di realizzazione ed alla necessità della partecipazione economica degli Enti Locali e dei privati.

Si ritiene che alla realizzazione dei programmi di edilizia agevolata in affitto possano partecipare tutti i soggetti interessati (Comuni, cooperative, imprese private, associazioni di volontariato) in grado di offrire risorse, capacità tecnica di costruzione e/o di recupero, esperienze in attività di gestione. A questo fine un contributo importantissimo può venire dall’iniziativa comunale relativamente alle promozione di un quadro di convenienze capaci di stimolare l’iniziativa privata (risorse,  aree,  procedure,  regolamenti, ecc.), tenendo conto che sui costi della casa incidono i servizi (specialmente quelli infrastrutturali per i servizi pubblici) che andrebbero considerati essenziali e preliminari all’espansione o trasformazione, già a livello di governo del territorio.

Al riguardo si valuta di particolare interesse la promozione in ambito regionale di soggetti no-profit con lo scopo di promuovere e realizzare programmi mirati al superamento dell’emergenza alloggiativa e all’ampliamento dello stock di abitazioni in affitto. Lo Stato potrebbe partecipare all’iniziativa con l’istituzione di un Fondo, presso il Ministero delle Infrastrutture, finalizzato al cofinanziamento (fino ad un massimo del 50% ) dei programmi regionali. Questo fondo si rende  necessario anche al fine di contenere i costi di costruzione, aprire tavoli riguardanti sia il rendimento atteso dai soggetti finanziatori, sia il ricavo derivante dal processo produttivo. Si deve inoltre prevedere la possibilità di affiancare ai soggetti istituzionali settori di Finanza Etica, le Fondazioni Bancarie, le forze imprenditoriali con finalità sociali.

Il CNEL ribadisce il parere che il rapporto di partenariato tra Stato, Regioni, Enti locali ed operatori del settore è fondamentale per l’attuazione dei programmi e per trovare una soluzione al problema dell’equilibrio tra funzione sociale ed efficienza gestionale.

 

Fiscalità immobiliare

Nel corso delle audizioni da più parti è stata rappresentata l’esigenza di utilizzare la leva fiscale al fine di determinare quel quadro di convenienze necessario a rendere sostenibile il  mercato delle locazione e per favorire la promozione dell’edilizia sociale in locazione.

Al riguardo si propone:

-          l’introduzione di un’aliquota fissa sugli immobili residenziali in affitto a canale concordato (pari a quella per le rendite finanziarie) separata dall’Ire;

-          una diversa modulazione (fino all’azzeramento) delle aliquote Ici per gli alloggi in affitto col canale concordato, come già avviene in alcune città;

-          la detrazione dall’Ire per gli inquilini di non meno del 30% dell’ammontare annuo del canone d’affitto;

-          l’esenzione Ici sul patrimonio Erp, giustificata dalla natura strumentale a finalità sociali. Le risorse così recuperate potrebbero essere reinvestite nella manutenzione e nella gestione dell’edilizia sociale;

-          la riduzione delle imposte sulle compravendite immobiliari destinate alla prima abitazione o all’affitto a canone sociale o concordato, anche per favorire la mobilità intercomunale e interregionale;

-          sempre per favorire la mobilità, la previsione di forme di deducibilità degli oneri di intermediazione delle compravendite;

-          di rendere strutturali gli sgravi Ire e Iva per gli interventi di recupero e manutenzione straordinaria, estendendo la possibilità di utilizzare lo sgravio fiscale anche per la manutenzione ordinaria (stabilendo un tetto minimo per il suo utilizzo). L’estensione dello sgravio si giustifica col fatto che, in questi anni, esso si è dimostrato valido strumento non solo per il recupero e la riqualificazione edilizia, ma anche per l’emersione del lavoro nero e per la  crescita occupazionale;

-          l’introduzione di agevolazioni fiscali e creditizie finalizzate al miglioramento dell’efficienza energetica ed alla messa in sicurezza degli edifici residenziali, a partire da quelli collocati nelle aree a rischio sismico;

-          l’accelerazione della riforma del catasto al fine di avere uno strumento capace di registrare il valore reale del patrimonio immobiliare e la sua dinamica in rapporto ai processi di trasformazione urbana;

-          la razionalizzazione dell’imposizione sulla casa puntando ad una forte semplificazione delle sue modalità.

 

Ai fini della lotta alla evasione fiscale, che si ritiene debba costituire un’area di impegno prioritario, si propone:

 

-          di avvalersi di norme, sanzioni e strumenti operativi quali osservatori presso la guardia di finanza, intreccio delle utenze di servizio, registrazioni catastali, registrazioni dei contratti, ecc., capaci di dare un reale impulso al superamento dell’elusione e dell’evasione delle imposte previste per la casa;

-          modificare la norma prevista nella Finanziaria 2005 che prevede la nullità dei contratti non registrati, sostituendola con un sistema premiale per il conduttore che denuncia l’illecito;

-          realizzare “studi di settore” al fine di monitorare il mercato immobiliare onde arginare la persistente evasione fiscale tramite denunce ufficiali e notarili di valori assai inferiori a quelli reali.