REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
II Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione 1^
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1684 del 2003 proposto da S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) regionale della Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, e S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) territoriale, di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. prof. Vittorio Angiolini e dall'avv. Ettore Martinelli ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Milano, via G. Serbelloni, n. 8
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv. ti Giangiacomo Ruggeri e Maria Lucia Tamborino ed elettivamente domiciliala presso l'Avvocatura regionale in Milano, via Pola, n. 14
per l'annullamento
delle deliberazioni n. VII/12575, approvata nella
seduta del 28.3.03, e n. 12798, approvata il 28.4.03, della Giunta Regionale,
con relativi allegati, e di ogni altro atto teso ad adottare, modificare e
perfezionare il "regolamento" sui "Criteri generali per l'assegnazione e la
gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", pubblicato nel BURL
il 7.4.2003;
nonché - a seguito della proposizione di motivi aggiunti - del regolamento
regionale 10.2.2004 n. l su "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione
degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", pubblicato nel BURL 13.2.2004,
1° supplemento ordinario.
* * *
sul ricorso n. 1712 del 2004 proposto da S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) regionale della Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, e S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) territoriale di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. prof. Vittorio Angiolini e dall'avv. Ettore Martinelli ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Milano, via G. Serbelloni, n. 8
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giangiacomo Ruggeri e Maria Lucia Tamborino ed elettivamente domiciliata presso l'Avvocatura regionale in Milano, via Pola, n. 14 e nei confronti di Comune di Rozzano, non costituito in giudizio
per l'annullamento
del regolamento regionale 10.2.2004 n. 1 su
"Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica", pubblicato nel BURL 13.2.2004, 1° supplemento ordinario.
Visti i ricorsi e l’atto di proposizione di motivi aggiunti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Viste le memorie delle parti;
Visti atti e documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del giorno 8 luglio 2004, relatore il dott.
Riccardo Giani, i difensori delle parti, come da verbale d'udienza;
Considerato quanto segue in fatto e diritto:
FATTO
Con il ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 i
ricorrenti impugnano le deliberazioni della Giunta della Regione Lombardia
28.3.2003, n. 12575 e 28.4.2003, n. 12798, relative al regolamento sui "Criteri
generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica'', evidenziando numerosi profili di illegittimità e chiedendone
l'annullamento.
In via preliminare nel ricorso si evidenzia la violazione e falsa applicazione
dell'art. 6 dello Statuto della Regione Lombardia, che attribuisce al Consiglio
Regionale la potestà legislativa e regolamentare, norma che sarebbe violata
dagli atti impugnati, ai quali la Regione rivendica la natura regolamentare, in
quanto approvati dalla Giunta Regionale.
Nella memoria difensiva l'Amministrazione resistente eccepisce l'inammissibilità
del ricorso per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati,
individuati nei Comuni della Lombardia sul cui territorio si trovano alloggi di
edilizia residenziale pubblica e nelle Aziende Locali di Edilizia Residenziale,
e la improcedibilità per sopravvenuta carenza d'interesse. A tale ultimo
proposito la Regione evidenzia come i provvedimenti impugnati siano stati
sostituiti e abrogati dal regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1,
approvato con deliberazione del Consiglio Regionale della Lombardia n. VII/951
del 3.2.2004 e in vigore dal 13.2.2004, data di pubblicazione sul BURL.
Con successivo ricorso, ritualmente proposto, per altro notificato anche al
Comune di Rozzano, i ricorrenti, attraverso atto di proposizione di motivi
aggiunti, impugnano, chiedendone l'annullamento, il regolamento regionale 10
febbraio 2004, n. 1 approvato dal Consiglio regionale e avente ad oggetto i
"Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica", articolando nove motivi di censura.
Nella memoria difensiva depositata in prossimità dell'udienza di discussione la
Regione Lombardia, nel contrastare nel merito le argomentazione dei ricorrenti,
eccepisce preliminarmente la carenza di interesse a ricorrere e la carenza di
legittimazione a ricorrere delle Associazioni ricorrenti.
Il S.I.C.eT regionale della Lombardia e il S.I.C.eT. territoriale di Milano,
oltre ad impugnare il regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 attraverso lo
strumento dei motivi aggiunti al ricorso rubricato sub R.G, 1684/03, hanno
altresì provveduto anche ad autonoma impugnazione dello stesso, attraverso il
ricorso, proposto nei confronti della Regione Lombardia e notificato anche al
Comune di Rozzano, rubricato sub R.G. 1712/04, nel quale vengono proposti gli
stessi motivi avanzati attraverso i motivi aggiunti.
Entrambi i sopraindicati ricorsi venivano chiamati alla pubblica udienza del
giorno 8 luglio 2004 ove le cause, uditi i difensori delle parti come da verbale
d'udienza, venivano trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente il Tribunale dispone la riunione
dei due ricorsi sopra epigrafati, e specificamente riunisce al ricorso rubricato
sub R.G. 1684/03 il ricorso rubricato sub R.G. 1712/04, sussistendo i
presupposti per l'applicazione dell'art. 52 R.D. 17 agosto 1907, n. 642. Si
tratta infatti di ricorsi sia soggettivamente che oggettivamente connessi, in
quanto pendenti tra le stesse parti e relativi alla medesima fattispecie di
fatto e di diritto, cioè l'impugnazione del regolamento regionale che fissa i
criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica.
2. Il ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 aveva originariamente per oggetto
l'impugnazione delle deliberazioni della Giunta regionale n. VII/12575 del
28.3.03 e n. 12798 del 28.4.03 di approvazione del regolamento regionale in
materia e ne evidenziava, tra l'altro, la illegittimità per incompetenza,
essendo la competenza all'adozione degli atti regolamentari attribuita dallo
Statuto regionale della Lombardia al Consiglio regionale e non alla Giunta. Le
suddette deliberazioni, e la connessa questione di competenza, sono state
superate dalla adozione da parte del Consiglio regionale, con deliberazione VII/951
del 3 febbraio 2004, del regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 relativo a
"Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica (art. 3, comma 41, lettera m legge regionale n. 1/2000)",
pubblicato nel 1° supplemento ordinario al Bollettino Ufficiale della Regione
Lombardia n. 7 del 13 febbraio 2004 e poi sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana, Terza Serie speciale, 29 maggio 2004 n. 21 (seppur qui con
l'errata epigrafe di "legge regionale"). L'intervenuta adozione del regolamento
regionale da parte del Consiglio regionale della Lombardia rende improcedibile,
per sopravvenuta carenza d'interesse, il ricorso R.G. 1684/03 in relazione alla
impugnativa delle delibere di Giunta n. VII/12575 del 28.3.03 e n. 12798 del
28.4.03.
3. In relazione al ricorso R.G. 1684/03 è stata avanzata dalla difesa regionale
l'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad almeno uno
dei controinteressati, individuati dalla Regione nei Comuni della Lombardia sul
cui territorio si trovano alloggi di edilizia residenziale pubblica e nelle
Aziende Locali di Edilizia Residenziale. L'eccezione è infondata. Osserva il
Collegio che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, a fronte di
atti a contenuto normativo, quali sono i regolamenti, non sussistono specifiche
posizioni di controinteresse, in forza della indeterminatezza dei loro
destinatari (TAR Lazio, III sez., 17.12.2001, n. 11402, TAR Lazio, I sez.,
23.2.1999, n. 453, Cons. Stato, VI sez., 27.10.1994, n. 1571, Cons. Stato, VI
sez., 27.1.1994, n. 67).
4. Nella memoria difensiva depositata in prossimità della pubblica udienza la
Regione Lombardia rileva la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse
e di legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti, evidenziando che si
è al di fuori delle ipotesi di espressa legittimazione ex lege e più in generale
che difettano i requisiti solo in presenza dei quali gli enti esponenziali
possono agire in giudizio.
4.1. L'eccezione formulata dalla Regione involge la tematica dell'accesso alla
tutela giurisdizionale dei soggetti portatori di interessi superindividuali.
E' noto che dopo una iniziale chiusura, quando la giurisprudenza fissava in modo
rigido il collegamento tra azione giudiziaria e natura individuale della
posizione soggettiva dedotta in giudizio, a partire dalla decisione Cons. Stato,
Ad. Plen., 19 ottobre 1979, n. 24, si è assistito ad un riconoscimento, seppur a
precise condizioni, della legittimazione all'impugnativa di atti amministrativi
da parte di soggetti portatori di interessi collettivi, nel quadro della
valorizzazione del disposto dell'art. 2 Cost. La giurisprudenza ha compiuto un
significativo sforzo ermeneutico per individuare, tra gli interessi
superindividuali perseguiti dagli enti esponenziali, quelli che risultino
meritevoli di accesso alla tutela giurisdizionale, tali cioè da conferire ai
medesimi enti esponenziali la legittimazione ad agire in giudizio. La concreta
selezione è operata con riferimento alla sussistenza, nelle ipotesi concrete,
dei requisiti della differenziazione e della qualificazione. Il requisito della
differenziazione postula la necessità che l'ente esponenziale faccia valere in
giudizio un interesse specifico del gruppo esponenziato e allo stesso
riferentesi in modo complessivo e unitario. Il carattere soggettivo della
giurisdizione amministrativa esclude infatti che possano accedere alla tutela
giurisdizionale interessi diffusi nel corpo sociale, incapaci di appuntarsi in
modo specifico in capo ad un determinato soggetto dell'ordinamento. La
sussistenza del requisito della differenziazione passa attraverso la verifica
dei seguenti elementi: a) fine statutario: l'ente deve agire a tutela di uno
specifico fine istituzionale individuato dallo Statuto; b) stabile
organizzazione: l'ente deve essere dotato di una organizzazione con la quale
svolgere in modo effettivo e continuo l'attività a tutela del fine statutario;
c) collegamento territoriale: deve esistere un nesso di collegamento di tipo
spaziale tra ambito di svolgimento dell'attività da parte del soggetto portatore
dell'interesse collettivo e ambito di efficacia dell'atto amministrativo
considerato lesivo e quindi impugnato. L'interesse differenziato in tal modo
individuato deve per altro, per poter attribuire al soggetto collettivo la
legittimazione ad agire, caratterizzarsi per essere un interesse giuridicamente
protetto, connotato cioè dal requisito della qualificazione da parte di norme
giuridiche. C'è da aggiungere che il legislatore si è successivamente orientato,
con riferimento ai settori in cui la tematica de qua è apparsa più rilevante,
nel senso di prevedere ipotesi di enti esponenziali legittimati ex lege
all'azione giurisdizionale amministrativa (si pensi in particolare agli artt. 13
e 18 legge 349/1986 in materia ambientale). Ciò tuttavia non esclude che
l'indagine sulla sussistenza delle condizioni dell'azione possa e debba essere
effettuata dal giudice caso per caso, secondo la griglia concettuale sopra
descritta, con la prudenza necessaria per evitare di creare spazi di
giustiziabilità di interessi non motivati da solidi e concreti riferimenti alla
realtà sostanziale sottostante (in tal senso TAR Lombardia, Milano, 2^ sez., 23
ottobre 2002, n. 5093).
Ritiene il Collegio che le Associazioni ricorrenti possano vantare un interesse
differenziato e qualificato alla impugnazione degli atti di cui ai ricorsi in
esame. L'esame degli Statuti del S.I.C.eT., depositati dalle ricorrenti,
consente di evidenziare che tale sindacato, impugnando il regolamento regionale
che disciplina l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica,
agisce a tutela degli interessi ad esso statutariamente attribuiti, come si
evince specificamente dalle affermazioni secondo cui scopo del S.I.C.eT. è
quello di "assicurare un'abitazione a tutti coloro che ne sono ancora privi, per
difficoltà economiche, sociali, sanitarie e/o familiari" (cfr. preambolo) e sua
finalità è svolgere "una politica della casa e del territorio che assicuri ai
lavoratori e alle classi popolari una abitazione dignitosa ad un costo
proporzionato al reddito familiare" (cfr. art. 2), a tutela del "diritto alla
casa e all'abitare in affitto" (cfr. art. 3). D'altra parte che si tratti di
soggetto che svolge in modo effettivo e stabile attività a sostegno del fine
statutario, e quindi dotato della necessaria struttura organizzativa, risulta
comprovato dal coinvolgimento del S.I.C.eT. da parte nella Regione al fine della
predisposizione del Programma Regionale per l'Edilizia Residenziale Pubblica
2002-2004 e nella stipula da parte dello stesso, assieme ad altre organizzazioni
sindacali confederali e dell'inquilinato, di un parziale accordo con
l'Assessorato regionale alle politiche della casa, come da documentazione
versata in atti. Né può dubitarsi della sussistenza del requisito del
collegamento territoriale, agendo in giudizio le strutture lombarda e milanese
del sindacato avverso un atto destinato a produrre i suoi effetti nel territorio
della Regione Lombardia. L'interesse a favorire l'accesso alla casa di
abitazione alle categorie più disagiate, infine, è senza dubbio interesse
giuridicamente rilevante, come tale qualificato sia a livello costituzionale
(art. 47 Cost.) sia dalla complessa serie di norme emanate in tema di edilizia
economica e popolare (poi residenziale pubblica) a partire dal periodo
successivo alla prima guerra mondiale.
4.2. Il Collegio si è peraltro posto, d'ufficio, il problema della possibile
sussistenza di un conflitto tra l'azione intrapresa dalle associazioni
ricorrenti e gli interessi degli associati, o parte di essi, tale da precludere
l'azione dell'ente esponenziale, secondo l'insegnamento giurisprudenziale (da
ultimo Cons. Stato, VI sez., 14 gennaio 2003, n. 93). Il problema potrebbe porsi
con riferimento al motivo di ricorso con il quale il S.I.C.eT. contesta gli
artt. 9 e 10 del regolamento impugnato, integrato sul punto dall'allegato 1, ove
prevedono che, al fine dell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale
pubblica, si tenga conto non solo del disagio familiare, abitativo ed economico
degli aspiranti ma altresì del numero di anni di residenza in lombardia degli
stessi. Le associazioni ricorrenti ritengono che in tal modo si assista ad uno
sviamento del potere pubblico dalle finalità cui dovrebbe ispirarsi,
introducendo la norma un elemento estraneo alla valutazione del disagio
abitativo. Ciò porta tuttavia il Collegio a interrogarsi se l'azione intrapresa
sul punto dall'ente esponenziale non rischi di porsi in contrasto con gli
interessi degli associati che, se ed in quanto da lungo tempo residenti in
Lombardia, potrebbero essere avvantaggiati dalla previsione regolamentare.
Nonostante la serietà e complessità dell'argomento il Collegio ritiene di poter
escludere che nel caso di specie sussista un conflitto di interesse idoneo a
paralizzare la legittimazione attiva dell'ente esponenziale. In particolare il
Collegio ritiene di aderire all'interpretazione secondo la quale, premesso che
l'associazione di categoria "agisce a tutela d'un interesse collettivo di cui
essa è esponenziale e non già a favore degli interessi individuali di alcuni
associati contro altri; nel qual caso l'azione sarebbe inammissibile",
allorquando "nell'atto impugnato sia effettivamente riconoscibile una capacità
lesiva di interessi unitari d'una determinata categoria di soggetti (cfr. Cons.
St., V, 29 gennaio 1999, n. 69; id. 1 luglio 2002, n. 3568), il relativo ente
esponenziale è legittimato a far valere in giudizio tali ragioni, ancorché, per
avventura, uno o più iscritti siano indifferenti a tale scelta illegittima e vi
s'adeguino per conseguire vantaggi, anche sugli altri iscritti, altrimenti non
raggiungibili" (TAR Lazio, III sez., 11 marzo 2004, n. 2375). Tale assunto, a
ben vedere, è per altro coerente anche con la motivazione della richiamata
decisione del Consiglio di Stato n. 93 del 2003, dal momento che in quest'ultima
si è ritenuto sussistere un conflitto d'interesse idoneo a paralizzare l'azione
dell'ente esponenziale sulla premessa che lo stesso faceva valere in giudizio
non già interessi propri della struttura associativa bensì interessi degli
iscritti, ed anzi di una parte degli stessi in contrasto con gli altri (cfr.
considerazioni in diritto sub 3). Nella fattispecie in esame le associazioni
ricorrenti, caratterizzate da una marcata impronta solidaristica, perseguono il
fine di garantire il diritto alla casa a tutti coloro che ne abbiano bisogno,
essendone privi per difficoltà economiche, sociali, sanitarie e familiari, e con
l'azione in giudizio reagiscono al vulnus subito dalla suddetta finalità
istituzionale per effetto del regolamento regionale che valorizza, al fin della
assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, criteri estranei
al bisogno abitativo. L'azione è quindi intrapresa dagli enti esponenziali per
far valere interessi loro propri, risultanti univocamente dagli statuti
associativi. E in tal caso, come ben evidenziato dalla citata sentenza TAR Lazio
n. 2375 del 2004, la legittimazione degli enti stessi non è preclusa dal fatto
che, per avventura, uno o alcuno degli iscritti potrebbero trarre vantaggi
dall'atto impugnato. Si consideri, per di più, che l'interesse individuale cui
far riferimento per comprovare la sussistenza del conflitto d'interessi,
dovrebbe essere un interesse in netto contrasto con la finalità statutaria, in
quanto mirante a valorizzare la maggiore anzianità di residenza rispetto ai
criteri indice di maggiore bisogno abitativo, violando la norma statutaria che
impone ad ogni iscritto "di essere coerente con i valori richiamati" nello
Statuto (cfr., art., 6). Si arriverebbe quindi all'assurdo per cui i singoli
danno vita ad una struttura associativa per perseguire certi fini, l'ente
esponenziale agisce a tutela delle finalità ad esso attribuite dagli associati,
ma l'ente stesso risulta paralizzato nel suo agire dal contrasto con interessi
degli associati, interessi per altro che si caratterizzano per essere in
contraddizione con le finalità proprie dell'associazione;
Alla luce delle suesposte considerazioni ritiene, conclusivamente sul punto, il
Collegio che anche sotto questo profilo l'eccezione di inammissibilità debba
essere respinta.
5. La Regione Lombardia nella memoria depositata in prossimità dell'udienza di
merito eccepisce la irricevibilità del ricorso rubricato sub R.G. 1712/2004 per
inosservanza del termine di deposito previsto dall'art. 23-bis legge 1034/1971,
poiché il ricorso è stato notificato il 24.3.2004 e depositato il 23 aprile
2004, oltre quindi il termine dimidiato di quindici giorni.
L'eccezione e infondata. È noto che l'art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034, introdotto dall'art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205, dispone, in
relazione alla tipologia di giudizi indicati dal comma primo della stessa norma,
la riduzione alla metà dei termini processuali, salvo quelli per la proposizione
del ricorso (comma secondo). Il Collegio ritiene tuttavia che la presente
controversia non rientri tra quelle indicate dal comma primo dell'art. 23-bis
cit. La Regione sembra in particolare richiamare il disposto delle lettere b) e
c) della citata disposizione, a mente delle quali sono sottoposte alla speciale
disciplina processuale le controversie aventi ad oggetto, rispettivamente, "i
provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed
esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di
gara e gli atti di esclusione dei concorrenti" (lettera b) e "i provvedimenti
relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi
pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei
concorrenti". Entrambe le .disposizioni individuano la sfera di rispettiva
applicazione indicando sia il tipo di atto amministrativo considerato
(provvedimenti emanati nell'ambito di procedure di aggiudicazione, affidamento
esecuzione) sia la materia oggetto del provvedimento (opere pubbliche o di
pubblica utilità, servizi pubblici e forniture). Il caso sottoposto all'esame
del Tribunale non rientra nella tipologia di provvedimenti indicati dalle norme
richiamate, in quanto il regolamento stabilente criteri generali per
l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, si
pone fuori degli specifici procedimenti di aggiudicazione, affidamento ed
esecuzione, come si evince anche dall'indicazione, quale latitudine esterna
massima di operatività della fattispecie, della impugnazione dei bandi di gara.
6. Nel merito con i primi due motivi, formulati sia in sede di motivi aggiunti
al ricorso R.G. 1684/2003 che nel ricorso R.G. 1712/2004, si contesta il
meccanismo di delegificazione, per come disciplinato dalla normativa regionale,
alla base del regolamento 10 febbraio 2004, n. 1.
6.1. La legge regionale lombarda 5 gennaio 2000, n. 1 disciplina il riordino del
sistema delle autonomie locali in attuazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
che a sua volta ha provveduto, in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59,
al conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni ed
agli enti locali. L'art. 3 della l.r. 1/2000, occupandosi delle materie
"territorio, ambiente e infrastrutture", fissa al comma 41, attraverso
l'indicazioni di lettere da a) ad r), le funzioni che sono mantenute in capo
alla Regione. In particolare la lettera m) si riferisce alla "determinazione dei
criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica", la lettera n) alla "determinazione dei criteri generali
per la fissazione dei canoni per l'edilizia residenziale pubblica", la lettera
r) alla "determinazione dei criteri per l'esercizio della vigilanza sulle
cooperative edilizie comunque fruenti di contributi pubblici".
La successiva legge regionale 3 aprile 2001, n. 6 all'art. 3, comma 10, prende
in considerazione la "data di pubblicazione del provvedimento della Giunta di
attuazione delle funzioni individuate dalle lettere m), n) e r) del comma 41
dell'art. 3 della l.r. n. 1/2000" come data a partire dalle quali sono abrogate
una serie di disposizioni normative, indicate dalla stessa disposizione, in
materia di edilizia residenziale pubblica. Sia pur con una tecnica legislativa
criticabile per la scarsa chiarezza e linearità, il citato art. 3, comma 10,
pone un meccanismo di delegificazione, rimettendo la disciplina di alcune
materie all'ambito regolamentare e fissando l'effetto abrogativo delle
preesistenti norme di legge a decorrere dall'entrata in vigore della normativa
regolamentare. Il "provvedimento della Giunta" di cui parla il comma 10 cit. è
senz'altro da qualificarsi come avente natura regolamentare, non solo per il
contenuto che gli viene riservato, ma per espressa ammissione dello stesso art.
3 comma 10 cit. che alla lettera i) parla più esplicitamente di "regolamenti
della Giunta regionale".
In attuazione della richiamata normativa la Giunta regionale aveva approvato le
deliberazioni n. VII/12575 e n. VII/12798, tempestivamente impugnate dalle
ricorrenti. Successivamente con legge regionale 22 dicembre 2003, n. 27 (art. 3,
comma 7) venivano soppresse nell'art. 3 comma 10, l.r. 3, aprile 2001, n. 6 i
riferimenti alla competenza di Giunta (provvedimento "della Giunta", regolamenti
"della Giunta regionale") aprendo la strada all'adozione, da parte del Consiglio
regionale, del regolamento regionale 10.2.2004 n. 1, cui si riferiscono i motivi
di ricorso in esame.
6.2. I citati primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente,
rivolgono una serie di censure avverso il meccanismo di delegificazione, così
come disciplinato dalle norme sopra richiamate. In particolare, procedendo in
ordine logico, si deduce che: a) la Regione ha ritenuto operante l'effetto
abrogativo e delegificante di cui all'art. 3, comma 10 l.r. 6/2001 in mancanza
dei presupposti previsti dalla norma, dal momento che quest'ultima ricollega
tale effetto all'intervento di un "provvedimento" che disciplini non solo la
materia di cui alla lettera m) dell'art. 3, comma 41, l.r. 1/2000 (unica
disciplinata dal regolamento 1/2004) ma altresì quelle di cui alle lettere n) ed
r) dello stesso art. 3, comma 41, cit.; b) il provvedimento impugnato fa un uso
disinvolto e illegittimo della potestà abrogativa, facendo tornare in vita testi
normativi già abrogati dalla legge, come testimonia l'art. 33 del regolamento
che dichiara abrogate parti di leggi in realtà già abrogate per intero dall'art.
3, comma 10, l.r. 6/2001; c) la lettera i) dell'art. 3, comma 10, l.r. 6/2001 si
presenta come incostituzionale ove dispone l'abrogazione delle "altre
disposizioni incompatibili con i predetti regolamenti", poiché così facendo
attribuisce ai regolamenti un autonomo effetto abrogativo di legge, in contrasto
con le norme costituzionali (art. 54), con le norme statali attuative (art. 17,
comma 2, legge 400/88) e con le interpretazioni della Corte costituzionale (sent.
376/02).
6.3. Le censure sono infondate e devono essere rigettate.
Non convince, in primo luogo, la lettura che le associazioni ricorrenti offrono
dell'art. 3, comma 10, l.r. 3 aprile 2001; n. 6, in base alla quale la norma
congegnerebbe un meccanismo di delegificazione coinvolgente le tre materie di
cui alle lettere m), n) ed r) dell'art. 3, comma 41, l.r. 5 gennaio
2000, n. 1 da utilizzarsi in modo necessariamente unitario, così che in mancanza
della disciplina regolamentare estesa anche alle materie di cui alle lettere n)
ed r) l'effetto abrogativo e delegificante non opererebbe. Ne discende una
ricostruzione eccessivamente rigida del procedimento normativo, che mal si
concilia con la funzione di semplificazione che si suol attribuire all'istituto
della delegificazione e che risulta contraddetta dalla stessa lettera della
norma che in altra sua parte utilizza il termine regolamenti, al plurale (art.
3, comma 10, cit. sub lettera i). Deve al contrario ritenersi che, stante anche
l'ampiezza delle materie considerate, la Regione ben possa procedere a
disciplinare in via regolamentare le stesse per comparti separati, adottando
quindi più regolamenti, e rendendo operativa solo nella parte corrispondente la
disciplina abrogativa di cui all'art. 3, comma 10, cit. In materia di delega
legislativa tale possibilità è espressamente contemplata dalla legge ("Se la
delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti
suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più
atti successivi per uno o più degli oggetti predetti": art. 14, comma terzo,
legge 23 agosto 1988, n. 400) e sembra difficile sostenere che una regola
similare non possa valere anche con riferimento alla delegificazione.
Del pari infondate appaiono le critiche all'art. 33 del regolamento impugnato e
alle modalità di utilizzo del meccanismo abrogativo. Sostengono le ricorrenti
che avendo l'art. 3, comma 10, l.r. 6/2001 disposto un effetto abrogativo
integrale delle leggi relative all'edilizia residenziale pubblica da esso stesso
richiamate, sarebbe illegittimo l'art. 33 del regolamento impugnato laddove
richiama le stesse leggi ma statuendo una loro abrogazione limitata ad alcuni
soltanto degli articoli di cui le stesse si compongono, il che determinerebbe un
effetto di reviviscenza di norme .al contrario definitivamente espunte
dall'ordinamento. Per una corretta lettura dell'art. 33 cit., al contrario, ad
avviso del Collegio, è necessario procedere ad un più attento coordinamento tra
la norma di legge e quella regolamentare. La norma di legge (art. 3, comma 10,
l.r. 6/2001) elenca l'insieme delle leggi che risulteranno abrogate dall'entrata
in vigore del o dei regolamenti disciplinanti l'insieme delle materie coinvolte
dal meccanismo di delegificazione, l'effetto finale cioè che si realizzerà con
l'entrata in vigore dei regolamenti relativi a tutte le materie di cui alle
lettere m), n) ed r) del comma 41 dell'art. 3 l.r. 1/2000. Poiché, come si è
avuto modo di chiarire, legittimamente la Regione Lombardia ha ritenuto di
procedere per tappe separate all'attuazione del meccanismo delegificativo,
emanando allo stato soltanto il regolamento relativo alla lettera m) dell'art.
3, comma 41, cit., tale effetto abrogativo finale non si è ancora realizzato.
Correttamente, pertanto, la norma regolamentare (art. 33 regolamento regionale
10 febbraio 2004, n. 1) evidenzia come, allo stato, si è realizzato un effetto
abrogativo parziale, limitato cioè a quelle parti delle norme indicate dalla
disposizione di legge che rientrano nella previsione della lettera m) cit., che
sono cioè relative ai criteri generali per l’assegnazione e gestione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica. In altre parole la delimitazione
delle norme abrogate effettuata dall’art. 33 cit. è l’effetto della scelta di
procedere alla attuazione della delegificazione esclusivamente per le materie di
cui alla lettera m) cit. e si pone come risultato obbligato rispetto a tale
scelta, non essendo operante l’effetto abrogativo di cui all’art. 3, comma 10,
l.r. 6/2001 per quella parte di disposizione legislative dallo stesso indicate
che non siano state sostituite dalla nuova disciplina regolamentare. Il
meccanismo delegificativo è attuato solo parzialmente e solo parzialmente si
realizza il connesso effetto abrogativo.
L’ultimo rilievo relativo al meccanismo delegificativo riguarda il disposto
dell’art. 3, comma 10, lettera i) l.r. 3 aprile 2001, n. 6, che ad avviso delle
ricorrenti si presenta come incostituzionale ove dispone l’abrogazione delle
“altre disposizioni incompatibili con i predetti regolamenti”, poiché così
facendo attribuisce ai regolamenti un autonomo effetto abrogativo di legge, in
contrasto con le norme costituzionali (art. 54), con le norme statali attuative
(art. 17, comma 2, legge 400/88) e con le interpretazioni della Corte
costituzionale (sent. 376/02). L’eccezione non può essere accolta. Com’è noto il
giudice di merito a fronte di una eccezione di legittimità costituzionale di una
disposizione di legge, è chiamato unicamente al vaglio di ammissibilità della
stessa sulla base dei parametri della rilevanza e della non manifesta
infondatezza. Nel caso di specie l'eccezione di legittimità costituzionale
dell'art. 3, comma 10, lettera i) l.r. 6/2001 è inammissibile perché
irrilevante, dal momento che la norma censurata non è stata concretamente
applicata nel regolamento impugnato; quest'ultimo infatti all'art. 33 non ha
individuato ulteriori disposizioni di legge con esso incompatibili e quindi da
ritenersi abrogate, così che la disposizione censurata non trova applicazione
nel presente giudizio e la sua eventuale invalidazione sarebbe priva di rilievo
nello stesso.
7. Con il terzo motivo le associazioni ricorrenti censurano gli artt. 9 e 10 del
regolamento impugnato, così come integrati dall'allegato 1 allo stesso, nella
parte in cui prevedono che, al fine dell'assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica, si debba tener conto anche del periodo di residenza nella
Regione Lombardia. L'art. 9, comma primo, regolamento regionale 10 febbraio
2004, n. 1, prevede che le domande per l'assegnazione degli alloggi siano
valutate in relazione alla situazione economica, alle condizioni familiari e
abitative, nonché al periodo di residenza in Lombardia del richiedente. L'art.
10 del regolamento, integrato sul punto dall'allegato 1, stabilisce che al fine
di attribuire l'assegnazione di alloggi stessi si tiene conto non solo del
disagio familiare, abitativo ed economico (che determinano l'indicatore ISBARC)
ma altresì degli anni di residenza in Lombardia (giungendo all'indice ISBARC/R)
attraverso valori che vanno da 5 (fino ad un anno di residenza) a 90 (oltre 20
anni). Ad avviso delle ricorrenti cio' determina uno sviamento del potere
dalle finalità sue proprie, in quanto il potere pubblico in materia è
finalizzato, ex art. 47 Cost., a favorire l'accesso all'abitazione a categorie
di cittadini meno abbienti, mentre l'essere da più anni residenti in Lombardia
non è indice di alcun disagio abitativo.
La censura è fondata e merita accoglimento.
È necessario partire da un esame più analitico della normativa censurata per
cogliere nella sua effettiva portata il significato che assume il riferimento
alla durata della residenza in regione. Gli artt. 9, primo comma, e 10, quinto
comma, regolamento regionale 1/2004 dispongono che al fine dell'assegnazione
degli alloggi di edilizia residenziale pubblica debba essere valutata, accanto
allo stato di bisogno abitativo, anche la durata della residenza in Lombardia
dell'istante. L'allegato 1 al regolamento, nella sua parte seconda, chiarisce
poi le modalità operative di formazione della graduatoria. In particolare emerge
che vengono presi in considerazione quattro indicatori, che esprimono
rispettivamente il "bisogno familiare'', il "bisogno abitativo'', il "bisogno
economico'' e la "residenza". Per quanto concerne specificamente la residenza, a
tale indicatore viene attribuito un punteggio da un minimo di 5, per una
residenza protrattasi fino ad un anno, ad un massimo di 90, per una residenza
superiore a venti anni. Il punteggio attribuito a ciascun indicatore viene poi
moltiplicato per un coefficiente che ne esprime il peso relativo, cioè
l'importanza di ciascun indicatore rispetto agli altri nella valutazione
complessiva. Il peso attribuito al disagio familiare è di 0,5, quello attribuito
al disagio abitativo e di 0,8, al disagio economico 0,3 e alla residenza 0,5.
L'esame di queste disposizioni operative consente di evidenziare come la
residenza rappresenti un elemento che interviene con pari dignità rispetto agli
altri indicatori nel determinare la posizione dell'istante nella graduatoria per
l'assegnazione degli alloggi. Risulta anzi che il relativo punteggio abbia un
peso relativo pari a quello attribuito al disagio familiare, superiore a quello
attribuito al disagio economico e inferiore soltanto al peso relativo attribuito
al disagio abitativo. Tutto ciò con il risultato che, nel suo combinarsi con gli
altri indici, il punteggio attribuito alla residenza può senz'altro determinare
la prevalenza di un concorrente da più tempo residente in Lombardia, per quanto
caratterizzato da uno stato di bisogno abitativo inferiore ad altri concorrenti.
Ritiene il Collegio che con una simile valorizzazione della durata della
residenza la regione Lombardia abbia introdotto un elemento estraneo alla ratio
della normativa sull'edilizia residenziale pubblica, con l'effetto di
determinare uno sviamento della relativa funzione amministrativa dalle finalità
sue proprie. La Corte Costituzionale ha più volte ripetuto che la legislazione
sull'edilizia residenziale pubblica ha la "finalità di favorire l'accesso
all'abitazione, a condizioni inferiori a quelle di mercato, a categorie di
cittadini meno abbienti" (Corte cost., 25 maggio 2004, ord. n. 150; nello stesso
senso anche Corte cost., 7 maggio 2004, n. 135 e 19 luglio 2000, n. 299) e la
correlata funzione amministrativa, autorevolmente qualificata come servizio
pubblico, deve garantire tale finalità.
L'impugnato regolamento, agli artt. 9, primo comma, 10, commi quinto e sesto, e
all'allegato 1 parti seconda e quarta, laddove prende in considerazione la
residenza in Lombardia come indice di valutazione al fine dell'assegnazione
degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, introduce una disciplina
estranea alle finalità proprie della legislazione in materia. In tali parti
l'atto impugnato, illegittimo sub specie di eccesso di potere per sviamento,
deve essere annullato.
8. L'accoglimento del terzo motivo di ricorso, e il conseguente annullamento in
parte qua del regolamento impugnato, consente di considerare assorbiti il
quarto, quinto e sesto motivo di cui al ricorso R.G. 1712/2004 e ai motivi
aggiunti al ricorso R.G. 1684/2003, in quanto inerenti sempre gli artt. 9 e 10
del regolamento e il riferimento alla residenza in Lombardia come indice da
valutare in sede di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2002, n. 4487).
9. Con il settimo motivo le parti ricorrenti contestano violazione e falsa
applicazione dell'art. 97 Cost. rilevando, in particolare, la violazione del
principio di imparzialità e buon andamento da parte degli artt. 14 e 15 del
regolamento impugnato che disciplinano, rispettivamente, l'assegnazione in
deroga alle graduatorie e l'assegnazione in deroga ai requisiti di accesso. Ciò
in quanto, a loro avviso, in relazione a delicate valutazioni tecniche che
richiedono specifiche competenze igienico-sanitarie e
ingegneristico-architettoniche si è affidato l'applicazione delle suddette norme
alle ordinarie strutture burocratiche prevedendosi come meramente eventuale la
costituzione di una commissione consultiva, ciò per altro solo da parte
dell'art. 14 e non dell'art. 15. Si contesta, inoltre, la generica previsione,
quali componenti delle eventuali commissioni consultive, di esperti, senza che
si specifichino i necessari requisiti di professionalità, esperti che possono
essere indicati dalle parti sociali senza tenere in alcun conto le esigenze di
rappresentatività delle parti sociali stesse.
La censura risulta infondata e merita di essere respinta. È sufficiente
evidenziare al proposito che le scelte in materia di organizzazione si
caratterizzano per un'ampia discrezionalità, censurabile solo sotto il parametro
della ragionevolezza. Nel caso di specie le censure delle associazione
ricorrenti, più che fondarsi sulla violazioni di disposizioni normative,
sembrano impingere in valutazioni di merito, non censurabili in questa sede. Può
inoltre evidenziarsi che l'eventuale inadeguatezza delle concrete opzioni
organizzative operate dai Comuni potrà essere sindacata, nei singoli casi
concreti, evidenziando la eventuale incompetenza degli organi chiamati ad
effettuare le scelte previste dalla normativa.
10. Con l'ottavo e il nono motivo le parti ricorrenti contestano l'art. 1, comma
3, e l'art. 32 del regolamento impugnato. L'art. 1 comma 3 cit. introduce la
distinzione tra alloggi di edilizia residenziale pubblica in cui si "concorre"
alla copertura degli oneri di realizzazione, recupero o acquisizione, nonché di
gestione, da una parte, e alloggi per i quali si corrisponde un canone che
"copre" tali oneri, dall'altra. In via provvisoria prima del regolamento sulla
determinazione dei canoni, agli alloggi del secondo tipo si applica un "canone
moderato" calcolato secondo quanto previsto dall'allegato V. Le ricorrenti
censurano l'assenza di criteri per distinguere le due tipologie di alloggi e
soprattutto l'introduzione di una distinzione nel regime dei beni che assumono
del tutto estranea alla legislazione vigente e che farebbe venir meno la
funzione dell'edilizia residenziale pubblica quale servizio pubblico deputato
alla provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti.
Le censure sono infondate e devono essere rigettate. In primo luogo, come
evidenziato dalla difesa regionale, il concetto di "canone moderato" non è
introdotto in modo innovativo dall'impugnato regolamento regionale, essendo al
contrario il frutto di scelte già operate dalla regione Lombardia e non fatte
oggetto di impugnazione. In particolare nel "Programma regionale per l'edilizia
residenziale pubblica 2002-2004", approvato con deliberazione del Consiglio
regionale n. 605 dell'8 ottobre 2002 - strumento previsto dall'art. 3, comma 52,
l.r. 5 gennaio 2000, n. 1 per effettuare le scelte di fondo in materia - sulla
base di una attenta analisi delle diverse articolazioni del bisogno abitativo,
viene indicato tra le linee di azione regionale quella di offrire una quota di
alloggi a canoni moderati, cioè "a valori comunque inferiori ai valori di
mercato, e il cui importo sia sopportabile da famiglie a reddito medio basso".
D'altra parte, proprio alla luce delle considerazioni svolte nel "Programma
regionale" cit. e dell'analisi che ne è il presupposto, non convince l'assunto
secondo il quale l'introduzione del canone moderato rappresenterebbe di per sé
una sottrazione di alloggi al servizio pubblico nel quale si sostanzia
l'edilizia residenziale. Deve piuttosto osservarsi, anche a questo proposito,
che si tratta di disposizioni di tipo programmatico, che allo stato non sembrano
concretare una lesione tutelabile, ferma restando la possibile sindacabilità in
sede giurisdizionale delle concrete scelte operative che verranno in materia
attuate.
11. Per le considerazioni esposte, salva la parziale improcedibilità del ricorso
R.G. 1684/03, i ricorsi in epigrafe devono essere, previa riunione, accolti in
parte, con conseguente annullamento del regolamento regionale 10 febbraio 2004,
n. 1 nei termini e nei limiti precisati. Sussistono giusti motivi per la
integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Lombardia, I^ Sez., definitivamente pronunciando:
- riunisce al ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 il ricorso rubricato
sub R.G. 1712/04;
- dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse, il
ricorso R.G. 1684/03, in relazione alla impugnativa delle delibere di Giunta
regionale n. VII/12575 del 28.3.03 e n. 12798 del 28.4.03;
- accoglie in parte i corsi e per l’effetto annulla il regolamento
regionale 10 febbraio 2004, n. 1 nei termini e limiti di cui in motivazione;
respinge per il resto i ricorsi;
- dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presenza sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2004, con
l’intervento dei magistrati:
Dr. Carmine Spadavecchia presidente
Dr. Elena Quadri referendario
Dr. Riccardo Giani referendario, est.