REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
II Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione 1^
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 1684 del 2003 proposto da S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) regionale della Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, e S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) territoriale, di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. prof. Vittorio Angiolini e dall'avv. Ettore Martinelli ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Milano, via G. Serbelloni, n. 8

contro

Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale,  costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv. ti Giangiacomo Ruggeri e Maria Lucia Tamborino ed elettivamente domiciliala presso l'Avvocatura regionale in Milano, via Pola, n. 14

per l'annullamento

delle deliberazioni n. VII/12575, approvata nella seduta del 28.3.03, e n. 12798, approvata il 28.4.03, della Giunta Regionale, con relativi allegati, e di ogni altro atto teso ad adottare, modificare e perfezionare il "regolamento" sui "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", pubblicato nel BURL  il 7.4.2003;
nonché - a seguito della proposizione di motivi aggiunti - del regolamento regionale 10.2.2004 n. l su "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", pubblicato nel BURL 13.2.2004, 1° supplemento ordinario.

* * *

sul ricorso n. 1712 del 2004 proposto da S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) regionale della Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore,  e S.I.C.eT. (Sindacato Inquilini Casa e Territorio) territoriale di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. prof. Vittorio Angiolini e dall'avv. Ettore Martinelli ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Milano, via G. Serbelloni, n. 8

contro

Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giangiacomo Ruggeri e Maria Lucia Tamborino ed elettivamente domiciliata presso l'Avvocatura regionale in Milano, via Pola, n. 14 e nei confronti di  Comune di Rozzano, non costituito in giudizio

per l'annullamento

del regolamento regionale 10.2.2004 n. 1 su "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", pubblicato nel BURL 13.2.2004, 1° supplemento ordinario.
Visti i ricorsi e l’atto di proposizione di motivi aggiunti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Viste le memorie delle parti;
Visti atti e documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del giorno 8 luglio 2004, relatore il dott. Riccardo Giani, i difensori delle parti, come da verbale d'udienza;
Considerato quanto segue in fatto e diritto:

FATTO

Con il ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 i ricorrenti impugnano le deliberazioni della Giunta della Regione Lombardia 28.3.2003, n. 12575 e 28.4.2003, n. 12798, relative al regolamento sui "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica'', evidenziando numerosi profili di illegittimità e chiedendone l'annullamento.
In via preliminare nel ricorso si evidenzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 dello Statuto della Regione Lombardia, che attribuisce al Consiglio Regionale la potestà legislativa e regolamentare, norma che sarebbe violata dagli atti impugnati, ai quali la Regione rivendica la natura regolamentare, in quanto approvati dalla Giunta Regionale.
Nella memoria difensiva l'Amministrazione resistente eccepisce l'inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati, individuati nei Comuni della Lombardia sul cui territorio si trovano alloggi di edilizia residenziale pubblica e nelle Aziende Locali di Edilizia Residenziale, e la improcedibilità per sopravvenuta carenza d'interesse. A tale ultimo proposito la Regione evidenzia come i provvedimenti impugnati siano stati sostituiti e abrogati dal regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1, approvato con deliberazione del Consiglio Regionale della Lombardia n. VII/951 del 3.2.2004 e in vigore dal 13.2.2004, data di pubblicazione sul BURL.
Con successivo ricorso, ritualmente proposto, per altro notificato anche al Comune di Rozzano, i ricorrenti, attraverso atto di proposizione di motivi aggiunti, impugnano, chiedendone l'annullamento, il regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 approvato dal Consiglio regionale e avente ad oggetto i "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", articolando nove motivi di censura.
Nella memoria difensiva depositata in prossimità dell'udienza di discussione la Regione Lombardia, nel contrastare nel merito le argomentazione dei ricorrenti, eccepisce preliminarmente la carenza di interesse a ricorrere e la carenza di legittimazione a ricorrere delle Associazioni ricorrenti.
Il S.I.C.eT regionale della Lombardia e il S.I.C.eT. territoriale di Milano, oltre ad impugnare il regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 attraverso lo strumento dei motivi aggiunti al ricorso rubricato sub R.G, 1684/03, hanno altresì provveduto anche ad autonoma impugnazione dello stesso, attraverso il ricorso, proposto nei confronti della Regione Lombardia e notificato anche al Comune di Rozzano, rubricato sub R.G. 1712/04, nel quale vengono proposti gli stessi motivi avanzati attraverso i motivi aggiunti.
Entrambi i sopraindicati ricorsi venivano chiamati alla pubblica udienza del giorno 8 luglio 2004 ove le cause, uditi i difensori delle parti come da verbale d'udienza, venivano trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente il Tribunale dispone la riunione dei due ricorsi sopra epigrafati, e specificamente riunisce al ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 il ricorso rubricato sub R.G.  1712/04, sussistendo i presupposti per l'applicazione dell'art. 52 R.D. 17 agosto 1907, n. 642. Si tratta infatti di ricorsi sia soggettivamente che oggettivamente connessi, in quanto pendenti tra le stesse parti e relativi alla medesima fattispecie di fatto e di diritto, cioè l'impugnazione del regolamento regionale che fissa i criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
2. Il ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 aveva originariamente per oggetto l'impugnazione delle deliberazioni della Giunta regionale n. VII/12575 del 28.3.03 e n. 12798 del 28.4.03 di approvazione del regolamento regionale in materia e ne evidenziava, tra l'altro, la illegittimità per incompetenza, essendo la competenza all'adozione degli atti regolamentari attribuita dallo Statuto regionale della Lombardia al Consiglio regionale e non alla Giunta. Le suddette deliberazioni, e la connessa questione di competenza, sono state superate dalla adozione da parte del Consiglio regionale, con deliberazione VII/951 del 3 febbraio 2004, del regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 relativo a "Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (art. 3, comma 41, lettera m legge regionale n. 1/2000)", pubblicato nel 1° supplemento ordinario al Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 7 del 13 febbraio 2004 e poi sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Terza Serie speciale, 29 maggio 2004 n. 21 (seppur qui con l'errata epigrafe di "legge regionale"). L'intervenuta adozione del regolamento regionale da parte del Consiglio regionale della Lombardia rende improcedibile, per sopravvenuta carenza d'interesse, il ricorso R.G. 1684/03 in relazione alla impugnativa delle delibere di Giunta n. VII/12575 del 28.3.03 e n. 12798 del 28.4.03.
3. In relazione al ricorso R.G. 1684/03 è stata avanzata dalla difesa regionale l'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati, individuati dalla Regione nei Comuni della Lombardia sul cui territorio si trovano alloggi di edilizia residenziale pubblica e nelle Aziende Locali di Edilizia Residenziale. L'eccezione è infondata. Osserva il Collegio che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, a fronte di atti a contenuto normativo, quali sono i regolamenti, non sussistono specifiche posizioni di controinteresse, in forza della indeterminatezza dei loro destinatari (TAR Lazio, III sez., 17.12.2001, n. 11402, TAR Lazio, I sez., 23.2.1999, n. 453, Cons. Stato, VI sez., 27.10.1994, n. 1571, Cons. Stato, VI sez., 27.1.1994, n. 67).
4. Nella memoria difensiva depositata in prossimità della pubblica udienza la Regione Lombardia rileva la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e di legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti, evidenziando che si è al di fuori delle ipotesi di espressa legittimazione ex lege e più in generale che difettano i requisiti solo in presenza dei quali gli enti esponenziali possono agire in giudizio.
4.1. L'eccezione formulata dalla Regione involge la tematica dell'accesso alla tutela giurisdizionale dei soggetti portatori di interessi superindividuali.   E' noto che dopo una iniziale chiusura, quando la giurisprudenza fissava in modo rigido il collegamento tra azione giudiziaria e natura individuale della posizione soggettiva dedotta in giudizio, a partire dalla decisione Cons. Stato, Ad. Plen., 19 ottobre 1979, n. 24, si è assistito ad un riconoscimento, seppur a precise condizioni, della legittimazione all'impugnativa di atti amministrativi da parte di soggetti portatori di interessi collettivi, nel quadro della valorizzazione del disposto dell'art. 2 Cost.  La giurisprudenza ha compiuto un significativo sforzo ermeneutico per individuare, tra gli interessi superindividuali perseguiti dagli enti esponenziali, quelli che risultino meritevoli di accesso alla tutela giurisdizionale, tali cioè da conferire ai medesimi enti esponenziali la legittimazione ad agire in giudizio. La concreta selezione è operata con riferimento alla sussistenza, nelle ipotesi concrete, dei requisiti della differenziazione e della qualificazione. Il requisito della differenziazione postula la necessità che l'ente esponenziale faccia valere in giudizio un interesse specifico del gruppo esponenziato e allo stesso riferentesi in modo complessivo e unitario. Il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa esclude infatti che possano accedere alla tutela giurisdizionale interessi diffusi nel corpo sociale, incapaci di appuntarsi in modo specifico in capo ad un determinato soggetto dell'ordinamento. La sussistenza del requisito della differenziazione passa attraverso la verifica dei seguenti elementi: a) fine statutario: l'ente deve agire a tutela di uno specifico fine istituzionale individuato  dallo Statuto; b) stabile organizzazione: l'ente deve essere dotato di una organizzazione con la quale svolgere in modo effettivo e continuo l'attività a tutela del fine statutario; c) collegamento territoriale: deve esistere un nesso di collegamento di tipo spaziale tra ambito di svolgimento dell'attività da parte del soggetto portatore dell'interesse collettivo e ambito di efficacia dell'atto amministrativo considerato lesivo e quindi impugnato. L'interesse differenziato in tal modo individuato deve per altro, per poter attribuire al soggetto collettivo la legittimazione ad agire, caratterizzarsi per essere un interesse giuridicamente protetto, connotato cioè dal requisito della qualificazione da parte di norme giuridiche. C'è da aggiungere che il legislatore si è successivamente orientato, con riferimento ai settori in cui la tematica de qua è apparsa più rilevante, nel senso di prevedere ipotesi di enti esponenziali legittimati ex lege all'azione giurisdizionale amministrativa (si pensi in particolare agli artt. 13 e 18 legge 349/1986 in materia ambientale). Ciò tuttavia non esclude che l'indagine sulla sussistenza delle condizioni dell'azione possa e debba essere effettuata dal giudice caso per caso, secondo la griglia concettuale sopra descritta, con la prudenza necessaria per evitare di creare spazi di giustiziabilità di interessi non motivati da solidi e concreti riferimenti alla realtà sostanziale sottostante (in tal senso TAR Lombardia, Milano, 2^  sez., 23 ottobre 2002, n. 5093).
Ritiene il Collegio che le Associazioni ricorrenti possano vantare un interesse differenziato e qualificato alla impugnazione degli atti di cui ai ricorsi in esame. L'esame degli Statuti del S.I.C.eT., depositati dalle ricorrenti, consente di evidenziare che tale sindacato, impugnando il regolamento regionale che disciplina l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, agisce a tutela degli interessi ad esso statutariamente attribuiti, come si evince specificamente dalle affermazioni secondo cui scopo del S.I.C.eT. è quello di "assicurare un'abitazione a tutti coloro che ne sono ancora privi, per difficoltà economiche, sociali, sanitarie e/o familiari" (cfr. preambolo) e sua finalità è svolgere "una politica della casa e del territorio che assicuri ai lavoratori e alle classi popolari una abitazione dignitosa ad un costo proporzionato al reddito familiare" (cfr. art. 2), a tutela del "diritto alla casa e all'abitare in affitto" (cfr. art. 3). D'altra parte che si tratti di soggetto che svolge in modo effettivo e stabile attività a sostegno del fine statutario, e quindi dotato della necessaria struttura  organizzativa, risulta comprovato dal coinvolgimento del S.I.C.eT. da parte nella Regione al fine della predisposizione del Programma Regionale per l'Edilizia Residenziale Pubblica 2002-2004 e nella stipula da parte dello stesso, assieme ad altre organizzazioni sindacali confederali e dell'inquilinato, di un parziale accordo con l'Assessorato regionale alle politiche della casa, come da documentazione versata in atti. Né può dubitarsi della sussistenza del requisito del collegamento territoriale, agendo in giudizio le strutture lombarda e milanese del sindacato avverso un atto destinato a produrre i suoi effetti nel territorio della Regione Lombardia. L'interesse a favorire l'accesso alla casa di abitazione alle categorie più disagiate, infine, è senza dubbio interesse giuridicamente rilevante, come tale qualificato sia a livello costituzionale (art. 47 Cost.) sia dalla complessa serie di norme emanate in tema di edilizia economica e popolare (poi residenziale pubblica) a partire dal periodo successivo alla prima guerra mondiale.
4.2. Il Collegio si è peraltro posto, d'ufficio, il problema della possibile sussistenza di un conflitto tra l'azione intrapresa dalle associazioni ricorrenti e gli interessi degli associati, o parte di essi, tale da precludere l'azione dell'ente esponenziale, secondo l'insegnamento giurisprudenziale (da ultimo Cons. Stato, VI sez., 14 gennaio 2003, n. 93). Il problema potrebbe porsi con riferimento al motivo di ricorso con il quale il S.I.C.eT. contesta gli artt. 9 e 10 del regolamento impugnato, integrato sul punto dall'allegato 1, ove prevedono che, al fine dell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, si tenga conto non solo del disagio familiare, abitativo ed economico degli aspiranti ma altresì del numero di anni di residenza in lombardia degli stessi. Le associazioni ricorrenti ritengono che in tal modo si assista ad uno sviamento del potere pubblico dalle finalità cui dovrebbe ispirarsi, introducendo la norma un elemento estraneo alla valutazione del disagio abitativo. Ciò porta tuttavia il Collegio a interrogarsi se l'azione intrapresa sul punto dall'ente esponenziale non rischi di porsi in contrasto con gli interessi degli associati che, se ed in quanto da lungo tempo residenti in Lombardia, potrebbero essere avvantaggiati dalla   previsione regolamentare. Nonostante la serietà e complessità dell'argomento il Collegio ritiene di poter escludere che nel caso di specie sussista un conflitto di interesse idoneo a paralizzare la legittimazione attiva dell'ente esponenziale. In particolare il Collegio ritiene di aderire all'interpretazione secondo la quale, premesso che l'associazione di categoria "agisce a tutela d'un interesse collettivo di cui essa è esponenziale e non già a favore degli interessi individuali di alcuni associati contro altri; nel qual caso l'azione sarebbe inammissibile", allorquando "nell'atto impugnato sia effettivamente riconoscibile una capacità lesiva di interessi unitari d'una determinata categoria di soggetti (cfr. Cons. St., V, 29 gennaio 1999, n. 69; id. 1 luglio 2002, n. 3568), il relativo ente esponenziale è legittimato a far valere in giudizio tali ragioni, ancorché, per avventura, uno o più iscritti siano indifferenti a tale scelta illegittima e vi s'adeguino per conseguire vantaggi, anche sugli altri iscritti, altrimenti non raggiungibili" (TAR Lazio, III sez., 11 marzo 2004, n. 2375). Tale assunto, a ben vedere, è per altro coerente anche con la motivazione della richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 93 del 2003, dal momento che in quest'ultima si è ritenuto sussistere un conflitto d'interesse idoneo a paralizzare l'azione dell'ente esponenziale sulla premessa che lo stesso faceva valere in giudizio non già interessi propri della struttura associativa bensì interessi degli iscritti, ed anzi di una parte degli stessi in contrasto con gli altri (cfr. considerazioni in diritto sub 3). Nella fattispecie in esame le associazioni ricorrenti, caratterizzate da una marcata impronta solidaristica, perseguono il fine di garantire il diritto alla casa a tutti coloro che ne abbiano bisogno, essendone privi per difficoltà economiche, sociali, sanitarie e familiari, e con l'azione in giudizio reagiscono al vulnus subito dalla suddetta finalità istituzionale per effetto del regolamento regionale che valorizza, al fin della assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, criteri estranei al bisogno abitativo. L'azione è quindi intrapresa dagli enti esponenziali per far valere interessi loro propri, risultanti univocamente dagli statuti associativi. E in tal caso, come ben evidenziato dalla citata sentenza TAR Lazio n. 2375 del 2004, la legittimazione degli enti stessi non è preclusa dal fatto che, per avventura, uno o alcuno degli iscritti potrebbero trarre vantaggi dall'atto impugnato. Si consideri, per di più, che l'interesse individuale cui far riferimento per comprovare la sussistenza del conflitto d'interessi, dovrebbe essere un interesse in netto contrasto con la finalità statutaria, in quanto mirante a valorizzare la maggiore anzianità di residenza rispetto ai criteri indice di maggiore bisogno abitativo, violando la norma statutaria che impone ad ogni iscritto "di essere coerente con i valori richiamati" nello Statuto (cfr., art., 6). Si arriverebbe quindi all'assurdo per cui i singoli danno vita ad una struttura associativa per perseguire certi fini, l'ente esponenziale agisce a tutela delle finalità ad esso attribuite dagli associati, ma l'ente stesso risulta paralizzato nel suo agire dal contrasto con interessi degli associati, interessi per altro che si caratterizzano per essere in contraddizione con le finalità proprie dell'associazione;
Alla luce delle suesposte considerazioni ritiene, conclusivamente sul punto, il Collegio che anche sotto questo profilo l'eccezione di inammissibilità debba essere respinta.
5. La Regione Lombardia nella memoria depositata in prossimità dell'udienza di merito eccepisce la irricevibilità del ricorso rubricato sub R.G. 1712/2004 per inosservanza del termine di deposito previsto dall'art. 23-bis legge 1034/1971, poiché il ricorso è stato notificato il 24.3.2004 e depositato il 23 aprile 2004, oltre quindi il termine dimidiato di quindici giorni.
L'eccezione e infondata. È noto che l'art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall'art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205, dispone, in relazione alla tipologia di giudizi indicati dal comma primo della stessa norma, la riduzione alla metà dei termini processuali, salvo quelli per la proposizione del ricorso (comma secondo). Il Collegio ritiene tuttavia che la presente controversia non rientri tra quelle indicate dal comma primo dell'art. 23-bis cit. La Regione sembra in particolare richiamare il disposto delle lettere b) e c) della citata disposizione, a mente delle quali sono sottoposte alla speciale disciplina processuale le controversie aventi ad oggetto, rispettivamente, "i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti" (lettera b) e "i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti". Entrambe le .disposizioni individuano la sfera di rispettiva applicazione indicando sia il tipo di atto amministrativo considerato (provvedimenti emanati nell'ambito di procedure di aggiudicazione, affidamento esecuzione) sia la materia oggetto del provvedimento (opere pubbliche o di pubblica utilità, servizi pubblici e forniture). Il caso sottoposto all'esame del Tribunale non rientra nella tipologia di provvedimenti indicati dalle norme richiamate, in quanto il regolamento stabilente criteri generali per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, si pone fuori degli specifici procedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione, come si evince anche dall'indicazione, quale latitudine esterna massima di operatività della fattispecie, della impugnazione dei bandi di gara.
6. Nel merito con i primi due motivi, formulati sia in sede di motivi aggiunti al ricorso R.G. 1684/2003 che nel ricorso R.G. 1712/2004, si contesta il meccanismo di delegificazione, per come disciplinato dalla normativa regionale, alla base del regolamento 10 febbraio 2004, n. 1.
6.1. La legge regionale lombarda 5 gennaio 2000, n. 1 disciplina il riordino del sistema delle autonomie locali in attuazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che a sua volta ha provveduto, in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59, al conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni ed agli enti locali. L'art. 3 della l.r. 1/2000, occupandosi delle materie "territorio, ambiente e infrastrutture", fissa al comma 41, attraverso l'indicazioni di lettere da a) ad r), le funzioni che sono mantenute in capo alla Regione. In particolare la lettera m) si riferisce alla "determinazione dei criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", la lettera n) alla "determinazione dei criteri generali per la fissazione dei canoni per l'edilizia residenziale pubblica", la lettera r) alla "determinazione dei criteri per l'esercizio della vigilanza sulle cooperative edilizie comunque fruenti di contributi pubblici".
La successiva legge regionale 3 aprile 2001, n. 6 all'art. 3, comma 10, prende in considerazione la "data di pubblicazione del provvedimento della Giunta di attuazione delle funzioni individuate dalle lettere m), n) e r) del comma 41 dell'art. 3 della l.r. n. 1/2000" come data a partire dalle quali sono abrogate una serie di disposizioni normative, indicate dalla stessa disposizione, in materia di edilizia residenziale pubblica. Sia pur con una tecnica legislativa criticabile per la scarsa chiarezza e linearità, il citato art. 3, comma 10, pone un meccanismo di delegificazione, rimettendo la disciplina di alcune materie all'ambito regolamentare e fissando l'effetto abrogativo delle preesistenti norme di legge a decorrere dall'entrata in vigore della normativa regolamentare. Il "provvedimento della Giunta" di cui parla il comma 10 cit. è senz'altro da qualificarsi come avente natura regolamentare, non solo per il contenuto che gli viene riservato, ma per espressa ammissione dello stesso art. 3 comma 10 cit. che alla lettera i) parla più esplicitamente di "regolamenti della Giunta regionale".
In attuazione della richiamata normativa la Giunta regionale aveva approvato le deliberazioni n. VII/12575 e n. VII/12798, tempestivamente impugnate dalle ricorrenti. Successivamente con legge regionale 22 dicembre 2003, n. 27 (art. 3, comma 7) venivano soppresse nell'art. 3 comma 10, l.r. 3, aprile 2001, n. 6 i riferimenti alla competenza di Giunta (provvedimento "della Giunta", regolamenti "della Giunta regionale") aprendo la strada all'adozione, da parte del Consiglio regionale, del regolamento regionale 10.2.2004 n. 1, cui si riferiscono i motivi di ricorso in esame.
6.2. I citati primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, rivolgono una serie di censure avverso il meccanismo di delegificazione, così come disciplinato dalle norme sopra richiamate. In particolare, procedendo in ordine logico, si deduce che: a) la Regione ha ritenuto operante l'effetto abrogativo e delegificante di cui all'art. 3, comma 10 l.r. 6/2001 in mancanza dei presupposti previsti dalla norma, dal momento che quest'ultima ricollega tale effetto all'intervento di un "provvedimento" che disciplini non solo la materia di cui alla lettera m) dell'art. 3, comma 41, l.r. 1/2000 (unica disciplinata dal regolamento 1/2004) ma altresì quelle di cui alle lettere n) ed r) dello stesso art. 3, comma 41, cit.; b) il provvedimento impugnato fa un uso disinvolto e illegittimo della potestà abrogativa, facendo tornare in vita testi normativi già abrogati dalla legge, come testimonia l'art. 33 del regolamento che dichiara abrogate parti di leggi in realtà già abrogate per intero dall'art. 3, comma 10, l.r. 6/2001; c) la lettera i) dell'art. 3, comma 10, l.r. 6/2001 si presenta come incostituzionale ove dispone l'abrogazione delle "altre disposizioni incompatibili con i predetti regolamenti", poiché così facendo attribuisce ai regolamenti un autonomo effetto abrogativo di legge, in contrasto con le norme costituzionali (art. 54), con le norme statali attuative (art. 17, comma 2, legge 400/88) e con le interpretazioni della Corte costituzionale (sent. 376/02).
6.3. Le censure sono infondate e devono essere rigettate.
Non convince, in primo luogo, la lettura che le associazioni ricorrenti offrono dell'art. 3, comma 10, l.r. 3 aprile 2001; n. 6, in base alla quale la norma congegnerebbe un meccanismo di delegificazione coinvolgente le tre materie di cui alle lettere m), n) ed r) dell'art. 3, comma 41, l.r. 5 gennaio
2000, n. 1 da utilizzarsi in modo necessariamente unitario, così che in mancanza della disciplina regolamentare estesa anche alle materie di cui alle lettere n) ed r) l'effetto abrogativo e delegificante non opererebbe. Ne discende una ricostruzione eccessivamente rigida del procedimento normativo, che mal si concilia con la funzione di semplificazione che si suol attribuire all'istituto della delegificazione e che risulta contraddetta dalla stessa lettera della norma che in altra sua parte utilizza il termine regolamenti, al plurale (art. 3, comma 10, cit. sub lettera i). Deve al contrario ritenersi che, stante anche l'ampiezza delle materie considerate, la Regione ben possa procedere a disciplinare in via regolamentare le stesse per comparti separati, adottando quindi più regolamenti, e rendendo operativa solo nella parte corrispondente la disciplina abrogativa di cui all'art. 3, comma 10, cit. In materia di delega legislativa tale possibilità è espressamente contemplata dalla legge ("Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti": art. 14, comma terzo, legge 23 agosto 1988, n. 400) e sembra difficile sostenere che una regola similare non possa valere anche con riferimento alla delegificazione.
Del pari infondate appaiono le critiche all'art. 33 del regolamento impugnato e alle modalità di utilizzo del meccanismo abrogativo. Sostengono le ricorrenti che avendo l'art. 3, comma 10, l.r. 6/2001 disposto un effetto abrogativo integrale delle leggi relative all'edilizia residenziale pubblica da esso stesso richiamate, sarebbe illegittimo l'art. 33 del regolamento impugnato laddove richiama le stesse leggi ma statuendo una loro abrogazione limitata ad alcuni soltanto degli articoli di cui le stesse si compongono, il che determinerebbe un effetto di reviviscenza di norme .al contrario definitivamente espunte dall'ordinamento. Per una corretta lettura dell'art. 33 cit., al contrario, ad avviso del Collegio, è necessario procedere ad un più attento coordinamento tra la norma di legge e quella regolamentare. La norma di legge (art. 3, comma 10, l.r. 6/2001) elenca l'insieme delle leggi che risulteranno abrogate dall'entrata in vigore del o dei regolamenti disciplinanti l'insieme delle materie coinvolte dal meccanismo di delegificazione, l'effetto finale cioè che si realizzerà con l'entrata in vigore dei regolamenti relativi a tutte le materie di cui alle lettere m), n) ed r) del comma 41 dell'art. 3 l.r. 1/2000. Poiché, come si è avuto modo di chiarire, legittimamente la Regione Lombardia ha ritenuto di procedere per tappe separate all'attuazione del meccanismo delegificativo, emanando allo stato soltanto il regolamento relativo alla lettera m) dell'art. 3, comma 41, cit., tale effetto abrogativo finale non si è ancora realizzato.
Correttamente, pertanto, la norma regolamentare (art. 33 regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1) evidenzia come, allo stato, si è realizzato un effetto abrogativo parziale, limitato cioè a quelle parti delle norme indicate dalla disposizione di legge che rientrano nella previsione della lettera m) cit., che sono cioè relative ai criteri generali per l’assegnazione e gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. In altre parole la delimitazione delle norme abrogate effettuata dall’art. 33 cit. è l’effetto della scelta di procedere alla attuazione della delegificazione esclusivamente per le materie di cui alla lettera m) cit. e si pone come risultato obbligato rispetto a tale scelta, non essendo operante l’effetto abrogativo di cui all’art. 3, comma 10, l.r. 6/2001 per quella parte di disposizione legislative dallo stesso indicate che non siano state sostituite dalla nuova disciplina regolamentare. Il meccanismo delegificativo è attuato solo parzialmente e solo parzialmente si realizza il connesso effetto abrogativo.
L’ultimo rilievo relativo al meccanismo delegificativo riguarda il disposto dell’art. 3, comma 10, lettera i) l.r. 3 aprile 2001, n. 6, che ad avviso delle ricorrenti si presenta come incostituzionale ove dispone l’abrogazione delle “altre disposizioni incompatibili con i predetti regolamenti”, poiché così facendo attribuisce ai regolamenti un autonomo effetto abrogativo di legge, in contrasto con le norme costituzionali (art. 54), con le norme statali attuative (art. 17, comma 2, legge 400/88) e con le interpretazioni della Corte costituzionale (sent. 376/02). L’eccezione non può essere accolta. Com’è noto il giudice di merito a fronte di una eccezione di legittimità costituzionale di una disposizione di legge, è chiamato unicamente al vaglio di ammissibilità della stessa sulla base dei parametri della rilevanza e della non manifesta infondatezza. Nel caso di specie l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 10, lettera i) l.r. 6/2001 è inammissibile perché irrilevante, dal momento che la norma censurata non è stata concretamente applicata nel regolamento impugnato; quest'ultimo infatti all'art. 33 non ha individuato ulteriori disposizioni di legge con esso incompatibili e quindi da ritenersi abrogate, così che la disposizione censurata non trova applicazione nel presente giudizio e la sua eventuale invalidazione sarebbe priva di rilievo nello stesso.
7. Con il terzo motivo le associazioni ricorrenti censurano gli artt. 9 e 10 del regolamento impugnato, così come integrati dall'allegato 1 allo stesso, nella parte in cui prevedono che, al fine dell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, si debba tener conto anche del periodo di residenza nella Regione Lombardia. L'art. 9, comma primo, regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1, prevede che le domande per l'assegnazione degli alloggi siano valutate in relazione alla situazione economica, alle condizioni familiari e abitative, nonché al periodo di residenza in Lombardia del richiedente. L'art. 10 del regolamento, integrato sul punto dall'allegato 1, stabilisce che al fine di attribuire l'assegnazione di alloggi stessi si tiene conto non solo del disagio familiare, abitativo ed economico (che determinano l'indicatore ISBARC) ma altresì degli anni di residenza in Lombardia (giungendo all'indice ISBARC/R) attraverso valori che vanno da 5 (fino ad un anno di residenza) a 90 (oltre 20 anni). Ad  avviso delle ricorrenti cio'  determina uno sviamento del potere dalle finalità sue proprie, in quanto il potere pubblico in materia è finalizzato, ex art. 47 Cost., a favorire l'accesso all'abitazione a categorie di cittadini meno abbienti, mentre l'essere da più anni residenti in Lombardia non è indice di alcun disagio abitativo.
La censura è fondata e merita accoglimento.
È necessario partire da un esame più analitico della normativa censurata per cogliere nella sua effettiva portata il significato che assume il riferimento alla durata della residenza in regione. Gli artt. 9, primo comma, e 10, quinto comma, regolamento regionale 1/2004 dispongono che al fine dell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica debba essere valutata, accanto allo stato di bisogno abitativo, anche la durata della residenza in Lombardia dell'istante. L'allegato 1 al regolamento, nella sua parte seconda, chiarisce poi le modalità operative di formazione della graduatoria. In particolare emerge che vengono presi in considerazione quattro indicatori, che esprimono rispettivamente il "bisogno familiare'', il "bisogno abitativo'', il "bisogno economico'' e la "residenza". Per quanto concerne specificamente la residenza, a tale indicatore viene attribuito un punteggio da un minimo di 5, per una residenza protrattasi fino ad un anno, ad un massimo di 90, per una residenza superiore a venti anni. Il punteggio attribuito a ciascun indicatore viene poi moltiplicato per un coefficiente che ne esprime il peso relativo, cioè l'importanza di ciascun indicatore rispetto agli altri nella valutazione complessiva. Il peso attribuito al disagio familiare è di 0,5, quello attribuito al disagio abitativo e di 0,8, al disagio economico 0,3 e alla residenza 0,5. L'esame di queste disposizioni operative consente di evidenziare come la residenza rappresenti un elemento che interviene con pari dignità rispetto agli altri indicatori nel determinare la posizione dell'istante nella graduatoria per l'assegnazione degli alloggi. Risulta anzi che il relativo punteggio abbia un peso relativo pari a quello attribuito al disagio familiare, superiore a quello attribuito al disagio economico e inferiore soltanto al peso relativo attribuito al disagio abitativo. Tutto ciò con il risultato che, nel suo combinarsi con gli altri indici, il punteggio attribuito alla residenza può senz'altro determinare la prevalenza di un concorrente da più tempo residente in Lombardia, per quanto caratterizzato da uno stato di bisogno abitativo inferiore ad altri concorrenti.
Ritiene il Collegio che con una simile valorizzazione della durata della residenza la regione Lombardia abbia introdotto un elemento estraneo alla ratio della normativa sull'edilizia residenziale pubblica, con l'effetto di determinare uno sviamento della relativa funzione amministrativa dalle finalità sue proprie. La Corte Costituzionale ha più volte ripetuto che la legislazione sull'edilizia residenziale pubblica ha la "finalità di favorire l'accesso all'abitazione, a condizioni inferiori a quelle di mercato, a categorie di cittadini meno abbienti" (Corte cost., 25 maggio 2004, ord. n. 150; nello stesso senso anche Corte cost., 7 maggio 2004, n. 135 e 19 luglio 2000, n. 299) e la correlata funzione amministrativa, autorevolmente qualificata come servizio pubblico, deve garantire tale finalità.
L'impugnato regolamento, agli artt. 9, primo comma, 10, commi quinto e sesto, e all'allegato 1 parti seconda e quarta, laddove prende in considerazione la residenza in Lombardia come indice di valutazione al fine dell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, introduce una disciplina estranea alle finalità proprie della legislazione in materia. In tali parti l'atto impugnato, illegittimo sub specie di eccesso di potere per sviamento, deve essere annullato.
8. L'accoglimento del terzo motivo di ricorso, e il conseguente annullamento in parte qua del regolamento impugnato, consente di considerare assorbiti il quarto, quinto e sesto motivo di cui al ricorso R.G. 1712/2004 e ai motivi aggiunti al ricorso R.G. 1684/2003, in quanto inerenti sempre gli artt. 9 e 10 del regolamento e il riferimento alla residenza in Lombardia come indice da valutare in sede di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 settembre 2002, n. 4487).     
9. Con il settimo motivo le parti ricorrenti contestano violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. rilevando, in particolare, la violazione del principio di imparzialità e buon andamento da parte degli artt. 14 e 15 del regolamento impugnato che disciplinano, rispettivamente, l'assegnazione in deroga alle graduatorie e l'assegnazione in deroga ai requisiti di accesso. Ciò in quanto, a loro avviso, in relazione a delicate valutazioni tecniche che richiedono specifiche competenze igienico-sanitarie e ingegneristico-architettoniche si è affidato l'applicazione delle suddette norme alle ordinarie strutture burocratiche prevedendosi come meramente eventuale la costituzione di una commissione consultiva, ciò per altro solo da parte dell'art. 14 e non dell'art. 15. Si contesta, inoltre, la generica previsione, quali componenti delle eventuali commissioni consultive, di esperti, senza che si specifichino i necessari requisiti di professionalità, esperti che possono essere indicati dalle parti sociali senza tenere in alcun conto le esigenze di rappresentatività delle parti sociali stesse.
La censura risulta infondata e merita di essere respinta. È sufficiente evidenziare al proposito che le scelte in materia di organizzazione si   caratterizzano per un'ampia discrezionalità, censurabile solo sotto il parametro della ragionevolezza. Nel caso di specie le censure delle associazione ricorrenti, più che fondarsi sulla violazioni di disposizioni normative, sembrano impingere in valutazioni di merito, non censurabili in questa sede. Può inoltre evidenziarsi che l'eventuale inadeguatezza delle concrete opzioni organizzative operate dai Comuni potrà essere sindacata, nei singoli casi concreti, evidenziando la eventuale incompetenza degli organi chiamati ad effettuare le scelte previste dalla normativa.
10. Con l'ottavo e il nono motivo le parti ricorrenti contestano l'art. 1, comma 3, e l'art. 32 del regolamento impugnato. L'art. 1 comma 3 cit. introduce la distinzione tra alloggi di edilizia residenziale pubblica in cui si "concorre" alla copertura degli oneri di realizzazione, recupero o acquisizione, nonché di gestione, da una parte, e alloggi per i quali si corrisponde un canone che "copre" tali oneri, dall'altra. In via provvisoria prima del regolamento sulla determinazione dei canoni, agli alloggi del secondo tipo si applica un "canone moderato" calcolato secondo quanto previsto dall'allegato V. Le ricorrenti censurano l'assenza di criteri per distinguere le due tipologie di alloggi e soprattutto l'introduzione di una distinzione nel regime dei beni che assumono del tutto estranea alla legislazione vigente e che farebbe venir meno la funzione dell'edilizia residenziale pubblica quale servizio pubblico deputato alla provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti.
Le censure sono infondate e devono essere rigettate. In primo luogo, come evidenziato dalla difesa regionale, il concetto di "canone moderato" non è introdotto in modo innovativo dall'impugnato regolamento regionale, essendo al contrario il frutto di scelte già operate dalla regione Lombardia e non fatte oggetto di impugnazione. In particolare nel "Programma regionale per l'edilizia residenziale pubblica 2002-2004", approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 605 dell'8 ottobre 2002 - strumento previsto dall'art. 3, comma 52, l.r. 5 gennaio 2000, n. 1 per effettuare le scelte di fondo in materia - sulla base di una attenta analisi delle diverse articolazioni del bisogno abitativo, viene indicato tra le linee di azione regionale quella di offrire una quota di alloggi a canoni moderati, cioè "a valori comunque inferiori ai valori di mercato, e il cui importo sia sopportabile da famiglie a reddito medio basso". D'altra parte, proprio alla luce delle considerazioni svolte nel "Programma regionale" cit. e dell'analisi che ne è il presupposto, non convince l'assunto secondo il quale l'introduzione del canone moderato rappresenterebbe di per sé una sottrazione di alloggi al servizio pubblico nel quale si sostanzia l'edilizia residenziale. Deve piuttosto osservarsi, anche a questo proposito, che si tratta di disposizioni di tipo programmatico, che allo stato non sembrano concretare una lesione tutelabile, ferma restando la possibile sindacabilità in sede giurisdizionale delle concrete scelte operative che verranno in materia attuate.
11. Per le considerazioni esposte, salva la parziale improcedibilità del ricorso R.G. 1684/03, i ricorsi in epigrafe devono essere, previa riunione, accolti in parte, con conseguente annullamento del regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 nei termini e nei limiti precisati. Sussistono giusti motivi per la integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, I^ Sez., definitivamente pronunciando:
-         riunisce al ricorso rubricato sub R.G. 1684/03 il ricorso rubricato sub R.G. 1712/04;
-         dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse, il ricorso R.G. 1684/03, in relazione alla impugnativa delle delibere di Giunta regionale n. VII/12575 del 28.3.03 e n. 12798 del 28.4.03;
-         accoglie in parte i corsi e per l’effetto annulla il regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1 nei termini e limiti di cui in motivazione; respinge per il resto i ricorsi;
-         dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presenza sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2004, con l’intervento dei magistrati:

Dr. Carmine Spadavecchia  presidente
Dr. Elena Quadri  referendario
Dr. Riccardo Giani  referendario, est.