Corte Costituzionale, sentenza n. 333 del 5 ottobre 2001

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido  NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco Maria  FLICK
Presidente
Giudice
"
"
"
"
"
"
"
"
"
"

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), promossi con ordinanze emesse il 13 gennaio 2000 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Mohammed Bouf Tah e Banchi Carlo, iscritta al n. 471 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2000, e il 6 giugno 2000 dal Tribunale di Nocera Inferiore nel procedimento civile vertente tra Correale Antonio e Sellitto Sabato, iscritta al n. 702 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti l’atto di costituzione  di Banchi Carlo nonché gli atti di intervento della Confederazione italiana della proprietà di Roma Confedilizia e del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nell’udienza pubblica del 10 luglio 2001 il Giudice relatore Annibale Marini;
 uditi gli avvocati Giuseppe Morbidelli e Nino Scripelliti per Banchi Carlo.

Ritenuto in fatto

  1. Con ordinanza emessa il 13 gennaio 2000, il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni  e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo).
    La norma denunciata pone quale «condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato», adibito ad uso abitativo, «la dimostrazione che il contratto di locazione è stato registrato, che l’immobile è stato denunciato ai fini dell’applicazione dell’ICI e che il reddito derivante dall’immobile medesimo è stato dichiarato ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi» ed ai fini della predetta dimostrazione dispone che nel precetto debbano essere indicati «gli estremi di registrazione del contratto di locazione, gli estremi dell’ultima denuncia dell’unità immobiliare alla quale il contratto si riferisce ai fini dell’applicazione dell’ICI, gli estremi dell’ultima dichiarazione dei redditi nella quale il reddito derivante dal contratto è stato dichiarato nonché gli estremi delle ricevute di versamento dell’ICI relative all’anno precedente a quello di competenza».
    Il rimettente, quanto alla rilevanza della questione, espone di essere chiamato a decidere – in una procedura per rilascio di immobile adibito ad uso abitativo promossa in base a convalida di sfratto per morosità – su un’opposizione ex art. 615 del codice di procedura civile fondata sulla mancanza, nel precetto, delle indicazioni richieste dal menzionato art. 7 della legge n. 431 del 1998. Motiva specificamente in ordine all’applicabilità di detta norma anche ai rapporti di locazione costituiti, come quello dedotto in giudizio, prima dell’entrata in vigore della legge n. 431 del 1998 [applicabilità del resto confermata dalla norma interpretativa, entrata in vigore successivamente all’ordinanza di rimessione, di cui all’art. 1, comma 3, del decreto-legge 25 febbraio 2000, n. 32 (Disposizioni urgenti in materia di locazioni per fronteggiare il disagio abitativo), convertito con modificazioni nella legge 20 aprile 2000, n. 97 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 febbraio 2000, n. 32, recante disposizioni urgenti in materia di locazioni per fronteggiare il disagio abitativo)] ed in punto di fatto dichiara accertata l’effettiva mancanza, nel precetto, delle indicazioni richieste dalla norma, cosicché l’opposizione dovrebbe essere – a suo avviso - senz’altro accolta.
    Ritiene peraltro lo stesso rimettente che la norma, ponendo un limite al diritto di agire esecutivamente, non determinato da finalità di contemperamento delle esigenze del locatore esecutante e del conduttore esecutato, si ponga in contrasto con il diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24, primo comma, della Costituzione, sicuramente riferibile anche alla fase dell’esecuzione forzata.
    Ed invero la norma denunciata sarebbe – secondo il giudice a quo –  esclusivamente ispirata ad esercitare un controllo sulla posizione fiscale del locatore, relativamente all’immobile del quale intende riottenere la disponibilità; ma proprio il fatto di subordinare la possibilità di mettere in esecuzione un provvedimento di rilascio, peraltro immediatamente eseguibile, ad adempimenti che attengono unicamente al rapporto locatore-erario integrerebbe una violazione dell’art. 24 Cost.
    1.1.
    Si è costituito in giudizio Carlo Banchi, locatore esecutante, concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
    1.2.
    Con il medesimo atto è intervenuta nel giudizio, assumendo identiche conclusioni, la Confederazione italiana della proprietà di Roma Confedilizia, non costituita nel giudizio a quo.
    1.3.
    In una memoria illustrativa depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica le predette parti private precisano che la questione sollevata dal Tribunale di Firenze riguarda il piano sostanziale della norma impugnata, e cioè quello relativo agli adempimenti tributari assunti quale condizione sospensiva della efficacia esecutiva del provvedimento giudiziale, e non già il piano probatorio formale, rappresentato dalla dimostrazione di tali adempimenti.
    Ed osservano, quindi, che, sotto un profilo specificamente tributario, la disposizione contenuta nell’art. 7 della legge n. 431 del 1998, come interpretata autenticamente dal decreto-legge n. 32 del 2000, costituisce una forma di aggravamento delle sanzioni previste dalla disciplina dei singoli tributi, in contrasto con i principi stabiliti dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) circa il divieto di retroattività delle norme tributarie (art. 3) ed il divieto di utilizzazione di decreti-legge per l’istituzione di nuovi tributi e  la estensione a nuovi soggetti di quelli già esistenti (art. 4).
    Per quanto concerne, in particolare, l’imposta di registro, che grava in solido su entrambe le parti del contratto, la norma impugnata sarebbe oltretutto lesiva del principio di eguaglianza, prevedendo la sanzione aggiuntiva dell’improcedibilità dell’azione esecutiva a carico del solo locatore e lasciando, invece, il conduttore libero di esercitare tutti i diritti derivanti dal contratto. Disparità di trattamento questa che potrebbe essere eliminata – sempre ad avviso delle parti private – mediante la pura e semplice declaratoria di illegittimità costituzionale della norma.
    Sotto il diverso profilo riguardante la limitazione della tutela giurisdizionale, le stesse parti evidenziano poi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tanto gli oneri fiscali gravanti sul processo o sui rapporti oggetto del processo possono ritenersi legittimi, in quanto sussista un ragionevole collegamento tra processo e onere tributario e sia comunque rispettato il principio della inarrestabilità della tutela giurisdizionale per effetto di oneri tributari.
    Nel caso di specie siffatto ragionevole collegamento tra processo ed onere tributario potrebbe forse ravvisarsi quanto all’imposta di registro sul contratto di locazione, ma non certo riguardo all’imposta comunale sugli immobili (ICI) ed all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), imposte il cui oggetto non ha alcun riferimento con il diritto azionato dal locatore.
    La norma impugnata, condizionando l’esercizio di un diritto fondamentale all’avvenuto adempimento di obbligazioni tributarie, si rivelerebbe dunque espressione di un principio del tutto irragionevole, denunciando la sua vera finalità, rappresentata dall’intento di creare un ulteriore ostacolo ai procedimenti di sfratto.
    1.4.
    E’ altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.
    Rileva la parte pubblica che il diritto di agire in giudizio ben può essere sottoposto a condizioni e limiti, purché tali limiti non siano tali da vanificare del tutto il diritto che si vorrebbe far valere. La norma denunciata, subordinando l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio alla dimostrazione della regolarità degli adempimenti fiscali relativi all’immobile, porrebbe una condizione ragionevole all’esercizio del diritto, in considerazione dei profili di interesse pubblico perseguiti, e dunque non si porrebbe in contrasto con l’art. 24 Cost.
  2. Nel corso di un giudizio di opposizione a precetto il Tribunale di Nocera Inferiore, con ordinanza emessa il 6 giugno 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 7 della legge n. 431 del 1998, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
    Afferma il rimettente che il giudizio non potrebbe essere definito senza l’applicazione della norma denunciata e che la questione appare, prima facie, non manifestamente infondata in ragione della «limitazione o condizionamento che subirebbe la tutela del diritto soggettivo».
    2.1.
    E’ intervenuto anche in tale giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, mediante atto di contenuto analogo al precedente.

Considerato in diritto

  1. Il Tribunale di Firenze ed il Tribunale di Nocera Inferiore dubitano, con riferimento l’uno al solo art. 24, primo comma, della Costituzione, l’altro agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni  e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), che pone quale condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato, adibito ad uso abitativo, la dimostrazione, da parte del locatore, della regolarità della propria posizione fiscale quanto al pagamento dell’imposta di registro sul contratto di locazione, dell’ICI gravante sull’immobile e dell’imposta sui redditi relativa ai canoni.
     I due giudizi, avendo sostanzialmente ad oggetto la medesima questione, vanno riuniti per essere congiuntamente decisi.
  2. Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato, nel giudizio promosso dal Tribunale di Firenze, dalla Confederazione italiana della proprietà di Roma Confedilizia. L’ente intervenuto, che non riveste la qualità di parte nel giudizio a quo, vanta, infatti, un interesse di mero fatto alla decisione della questione di costituzionalità, mentre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che va qui ribadita, l’intervento deve basarsi su una situazione individualizzata, riconoscibile solo quando l’esito del giudizio di costituzionalità sia destinato ad incidere direttamente su una posizione giuridica propria della parte intervenuta (cfr., fra le ultime, ordinanze n. 456 del 2000 e n. 129 del 1998).

  3. La questione sollevata dal Tribunale di Nocera Inferiore è inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
    Il rimettente, infatti, pur affermando che il giudizio di opposizione a precetto, pendente dinanzi a lui, non può essere definito senza l’applicazione della norma denunciata, nulla dice circa i motivi sui quali l’opposizione a precetto si fonda e nemmeno chiarisce se il precetto riguardi il rilascio di un immobile adibito ad uso abitativo, venendo in tal modo a precludere la necessaria verifica riguardo all’avvenuto apprezzamento, da parte dello stesso giudice, della rilevanza della questione.

  4. Passando all’esame del profilo di merito, deve affermarsi la fondatezza della questione sollevata dal Tribunale di Firenze.

  5. Il problema della compatibilità tra il principio costituzionale che garantisce a tutti la tutela giurisdizionale, anche nella fase esecutiva, dei propri diritti e le norme che impongono determinati oneri a chi quella tutela richieda non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte ed è stato risolto, pur se con qualche incertezza, nel senso di distinguere fra oneri imposti allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione ed alle sue esigenze ed oneri tendenti, invece, al soddisfacimento di interessi del tutto estranei alle finalità processuali.
    Mentre i primi, si è detto, sono consentiti in quanto strumento di quella stessa tutela giurisdizionale che si tratta di garantire, i secondi si traducono in una preclusione o in un ostacolo all’esperimento della tutela giurisdizionale e comportano, perciò, la violazione dell’art. 24 Cost. (sentenza n. 113 del 1963). Quel che si tratta allora di stabilire, ai fini della soluzione del presente dubbio di costituzionalità, è l’appartenenza dell’onere imposto al locatore, a pena di improcedibilità dell’azione esecutiva, all’una o all’altra delle categorie precedentemente individuate. Ed è indubbio che l’onere suddetto, avendo ad oggetto la dimostrazione da parte del locatore di aver assolto taluni obblighi fiscali (e precisamente: la registrazione del contratto di locazione dell’immobile, la denuncia dell’immobile locato ai fini dell’applicazione dell’ICI ed il pagamento della relativa imposta nell’anno precedente, la dichiarazione del reddito dell’immobile locato ai fini dell’imposta sui redditi), sia imposto esclusivamente a fini di controllo fiscale e risulti, pertanto, privo di qualsivoglia connessione con il processo esecutivo e con gli interessi che lo stesso è diretto a realizzare.
     Sotto tale aspetto, occorre, infatti, rilevare che, mentre l’ICI è una imposta di carattere reale posta a carico di un soggetto – il proprietario o il titolare di altro diritto reale di godimento – non sempre coincidente con il locatore esecutante, il quale agisce a tutela di un diritto di natura obbligatoria derivante dal contratto di locazione, l’imposta sui redditi si riferisce ad un diritto – quello relativo alla percezione dei canoni – che, seppur derivante dal medesimo contratto di locazione, è tuttavia ben distinto dal diritto alla restituzione dell’immobile locato, azionato nella esecuzione per rilascio, ed infine, la stessa registrazione del contratto di locazione rappresenta un adempimento di carattere fiscale del tutto estraneo alle esigenze di un processo diretto a porre in esecuzione un titolo giudiziale.

  6. E’ del resto significativo che la norma impugnata si ponga in singolare dissonanza con la tendenza, presente in tutta la legislazione vigente, diretta ad eliminare, come recita l’art. 7, numero 7, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), «ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». Possono in proposito richiamarsi come espressive di tale tendenza - dai commentatori ritenuta ispirata al principio di cui all’art. 24 Cost. - le disposizioni relative tanto alla normativa di bollo che a quella di registro che hanno abrogato tutte le precedenti norme preclusive alla produzione in giudizio di atti e documenti fiscalmente irregolari.
    E, nello stesso indirizzo, si inserisce la disciplina dettata dal vigente testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni là dove non estende a giudici ed arbitri il divieto di compiere atti relativi a trasferimenti per causa di morte, in difetto di prova dell’avvenuta dichiarazione della successione, ma pone soltanto l’obbligo di comunicare all’ufficio del registro competente le notizie, relative a trasferimenti per causa di morte, apprese in base agli atti del processo.

  7. Conclusivamente, va affermato che l’impedimento di carattere fiscale alla tutela giurisdizionale dei diritti, introdotto dalla norma denunciata, si pone in contrasto con l’art. 24, primo comma, della Costituzione e comporta la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma stessa.

 

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

 riuniti i giudizi,

  1. dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni  e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo);
  2. dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni  e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Nocera Inferiore con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2001.

 

F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2001.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

 

HOME