composta dai signori:
- Cesare RUPERTO - Fernando SANTOSUOSSO - Massimo VARI - Riccardo CHIEPPA - Gustavo ZAGREBELSKY - Valerio ONIDA - Carlo MEZZANOTTE - Fernanda CONTRI - Guido NEPPI MODONA - Piero Alberto CAPOTOSTI - Annibale MARINI - Franco Maria FLICK |
Giudice " " " " " " " " " " |
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art.
7 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio
degli immobili adibiti ad uso abitativo), promossi con ordinanze emesse il 13 gennaio
2000 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Mohammed Bouf
Tah e Banchi Carlo, iscritta al n. 471 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno
2000, e il 6 giugno 2000 dal Tribunale di Nocera Inferiore nel procedimento civile
vertente tra Correale Antonio e Sellitto Sabato, iscritta al n. 702 del registro
ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima
serie speciale, dell’anno 2000.
Visti l’atto di costituzione di Banchi Carlo nonché
gli atti di intervento della Confederazione italiana della proprietà di Roma Confedilizia
e del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nell’udienza pubblica del 10 luglio 2001 il Giudice relatore Annibale
Marini;
uditi gli avvocati Giuseppe Morbidelli e Nino Scripelliti per Banchi Carlo.
Ritenuto in fatto
Considerato in diritto
Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato, nel giudizio promosso dal Tribunale di Firenze, dalla Confederazione italiana della proprietà di Roma Confedilizia. L’ente intervenuto, che non riveste la qualità di parte nel giudizio a quo, vanta, infatti, un interesse di mero fatto alla decisione della questione di costituzionalità, mentre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che va qui ribadita, l’intervento deve basarsi su una situazione individualizzata, riconoscibile solo quando l’esito del giudizio di costituzionalità sia destinato ad incidere direttamente su una posizione giuridica propria della parte intervenuta (cfr., fra le ultime, ordinanze n. 456 del 2000 e n. 129 del 1998).
La questione sollevata dal Tribunale di Nocera Inferiore
è inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
Il rimettente, infatti, pur affermando che il giudizio di opposizione a precetto,
pendente dinanzi a lui, non può essere definito senza l’applicazione della norma
denunciata, nulla dice circa i motivi sui quali l’opposizione a precetto si fonda
e nemmeno chiarisce se il precetto riguardi il rilascio di un immobile adibito ad
uso abitativo, venendo in tal modo a precludere la necessaria verifica riguardo
all’avvenuto apprezzamento, da parte dello stesso giudice, della rilevanza della
questione.
Passando all’esame del profilo di merito, deve affermarsi la fondatezza della questione sollevata dal Tribunale di Firenze.
Il problema della compatibilità tra il principio costituzionale
che garantisce a tutti la tutela giurisdizionale, anche nella fase esecutiva, dei
propri diritti e le norme che impongono determinati oneri a chi quella tutela richieda
non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte ed è stato risolto, pur se con
qualche incertezza, nel senso di distinguere fra oneri imposti allo scopo di assicurare
al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione ed alle sue esigenze
ed oneri tendenti, invece, al soddisfacimento di interessi del tutto estranei alle
finalità processuali.
Mentre i primi, si è detto, sono consentiti in quanto strumento di quella stessa
tutela giurisdizionale che si tratta di garantire, i secondi si traducono in una
preclusione o in un ostacolo all’esperimento della tutela giurisdizionale e comportano,
perciò, la violazione dell’art. 24 Cost. (sentenza n. 113 del 1963). Quel che si
tratta allora di stabilire, ai fini della soluzione del presente dubbio di costituzionalità,
è l’appartenenza dell’onere imposto al locatore, a pena di improcedibilità dell’azione
esecutiva, all’una o all’altra delle categorie precedentemente individuate. Ed è
indubbio che l’onere suddetto, avendo ad oggetto la dimostrazione da parte del locatore
di aver assolto taluni obblighi fiscali (e precisamente: la registrazione del contratto
di locazione dell’immobile, la denuncia dell’immobile locato ai fini dell’applicazione
dell’ICI ed il pagamento della relativa imposta nell’anno precedente, la dichiarazione
del reddito dell’immobile locato ai fini dell’imposta sui redditi), sia imposto
esclusivamente a fini di controllo fiscale e risulti, pertanto, privo di qualsivoglia
connessione con il processo esecutivo e con gli interessi che lo stesso è diretto
a realizzare.
Sotto tale aspetto, occorre, infatti, rilevare che, mentre l’ICI è una imposta
di carattere reale posta a carico di un soggetto – il proprietario o il titolare
di altro diritto reale di godimento – non sempre coincidente con il locatore esecutante,
il quale agisce a tutela di un diritto di natura obbligatoria derivante dal contratto
di locazione, l’imposta sui redditi si riferisce ad un diritto – quello relativo
alla percezione dei canoni – che, seppur derivante dal medesimo contratto di locazione,
è tuttavia ben distinto dal diritto alla restituzione dell’immobile locato, azionato
nella esecuzione per rilascio, ed infine, la stessa registrazione del contratto
di locazione rappresenta un adempimento di carattere fiscale del tutto estraneo
alle esigenze di un processo diretto a porre in esecuzione un titolo giudiziale.
E’ del resto significativo che la norma impugnata si
ponga in singolare dissonanza con la tendenza, presente in tutta la legislazione
vigente, diretta ad eliminare, come recita l’art. 7, numero 7, della legge 9 ottobre
1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria),
«ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti ed interessi legittimi». Possono in proposito richiamarsi come
espressive di tale tendenza - dai commentatori ritenuta ispirata al principio di
cui all’art. 24 Cost. - le disposizioni relative tanto alla normativa di bollo che
a quella di registro che hanno abrogato tutte le precedenti norme preclusive alla
produzione in giudizio di atti e documenti fiscalmente irregolari.
E, nello stesso indirizzo, si inserisce la disciplina dettata dal vigente testo
unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni là
dove non estende a giudici ed arbitri il divieto di compiere atti relativi a trasferimenti
per causa di morte, in difetto di prova dell’avvenuta dichiarazione della successione,
ma pone soltanto l’obbligo di comunicare all’ufficio del registro competente le
notizie, relative a trasferimenti per causa di morte, apprese in base agli atti
del processo.
Conclusivamente, va affermato che l’impedimento di carattere fiscale alla tutela giurisdizionale dei diritti, introdotto dalla norma denunciata, si pone in contrasto con l’art. 24, primo comma, della Costituzione e comporta la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2001.
F.to: Cesare RUPERTO, Presidente Annibale MARINI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere |
Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2001.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA