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Roma, 5 ottobre 2009
Lunedì 5 ottobre in
tutto il Mondo Giornata Internazionale degli Inquilini.
In Italia: Convegno CISL e SICET
Camera del Commercio - Napoli
Convegno su “Disagio Abitativo nel Mezzogiorno
Introduzione al dibattito
Guido Piran – Segretario Generale Sicet Nazionale
Rinnovo il saluto a tutti i presenti che hanno risposto positivamente
all’appello del SICET, gli assessori e i rappresentanti dei governi regionali di
CAMPANIA, PUGLIA, BASILICATA, CALABRIA, SICILIA e SARDEGNA, i rappresentanti
degli Enti locali, dei gestori dell’edilizia pubblica.
Saluto e ringrazio Napoli e le autorità cittadine in particolare la Camera di
Commercio e il suo Commissario straordinario che ancora una volta ci ospitano
per un’iniziativa di grande rilevanza politica e sociale, e permettetemi di
citare il sostegno politico della Cisl di Campania e il qui presente segretario
confederale Fulvio Giacomassi responsabile del dipartimento confederale delle
politiche abitative che chiuderà i lavori della giornata.
L’agenzia dell’ONU “UN-Habitat” e lo “IUT” (l’organizzazione internazionale
degli inquilini), a cui il SICET aderisce, dedicano il primo lunedì di Ottobre
di ogni anno alla “Giornata mondiale degli inquilini e dell’ambiente” allo scopo
di sensibilizzare i governi e l’opinione pubblica su uno dei problemi più gravi
che colpisce la popolazione mondiale l’inadeguatezza e la mancanza di alloggi
per garantire l’adeguata fruizione di quanto previsto dalla carta dei diritti
fondamentali dell’uomo.
In contemporanea alla presente iniziativa a Bruxelles si sta svolgendo un
convegno dal titolo: “Il diritto alla casa: prospettive future di una
politica abitativa per un’Europa più sociale” e nel pomeriggio è in agenda
un seminario sul tema : “Alloggi in locazione e crisi finanziaria, le
minacce e le sfide. Affrontare la crisi con un nuovo progetto per aumentare la
disponibilità di alloggi sociali nello sviluppo urbano”. Parteciperanno
parlamentari e commissari europei, rappresentanti delle Nazioni Unite e gestori
dell’edilizia pubblica, l’Italia sarà rappresentata da un intervento proposto da
Massimo Petterlin collega della segreteria nazionale del SICET.
In tutto il mondo ci si interroga in merito ai fenomeni sociali che la
globalizzazione dei mercati e la crisi economica hanno innestato, in particolare
a tener campo è la questione della povertà e delle crescenti diseguaglianze.
Ormai da alcuni decenni si assiste alla migrazione di intere popolazioni, dalle
zone rurali povere verso la città, poi verso altri Paesi e nazioni, il fenomeno
è generale ed è provocato sostanzialmente da motivazioni economiche, si fugge
dalla fame e dalla miseria in cerca di condizioni meno disumane per se e per i
propri figli. È indubbio che le zone rurali offrano minori opportunità
occupazionali delle metropoli. Alle periferie delle grandi città si trovano i
principali insediamenti industriali e nei centri metropolitani vi è una grande
richiesta di manodopera a bassa specializzazione. Pensiamo a tutti i servizi
indotti dalle strutture di terziario come uffici e centri commerciali: pulizie,
trasporto merci e persone, ristorazione, servizi e assistenza famigliare, ecc.
L’inurbamento ha prodotto l’abbandono di abitazioni e la necessità di costruirne
delle altre, in tutto il mondo sono nate megalopoli mostruose, in cui le
condizioni abitative e ambientali sono sempre più disumane. Per questo l’ONU e i
sindacati degli inquilini internazionali hanno ritenuto necessario sottolineare
con particolare rilevanza la questione abitativa.
Il congresso del SICET svoltosi lo scorso mese di maggio ha deciso di celebrare
l’evento di quest’anno con riferimento alla condizione abitativa delle regioni
meridionali e insulari italiane. La scelta del mezzogiorno e di Napoli, trovano
una singolare coincidenza con il richiamo dei vescovi italiani e del Capo dello
Stato che, proprio nei giorni scorsi, hanno sollevato con forza e, si può dire:
“di nuovo” l’annosa e mai risolta “Questione meridionale”.
Il SICET non ha dovuto attendere le autorevoli voci a cui facevo riferimento in
precedenza per individuare le proprie priorità d’intervento, l’angolo visuale da
cui traguardiamo il Paese e i nostri terminali sul territorio ci trasmettono una
fotografia della società in grande difficoltà proprio a partire dalla “Questione
abitativa”. La crisi abitativa anche in Italia colpisce in generale le periferie
delle grandi aree metropolitane, con un particolare riferimento alle regioni del
mezzogiorno, in cui la crisi economica attuale, aggiunge ulteriori difficoltà
agli irrisolti problemi di sviluppo storicamente presenti.
Alcuni dati per rifletter: Crescita bassa, poco accesso al credito, minima spesa
sociale, zero investimenti. La fotografia del Mezzogiorno d'Italia redatta da
Svimez è impietosa. Dal '95 al 2005 le regioni meridionali si collocano agli
ultimi posti delle zone europee più depresse. Secondo il Rapporto, "in dieci
anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica
europea, situandosi in posizione comprese tra 165 e 200 su un totale di 208"
LA RIDUZIONE DELLA SPESA - Investimenti che rallentano e riduzione dei consumi,
sono le due cause principali della crisi. Le famiglie del Sud hanno ridotto la
spesa dell'1,4% contro il calo dello 0,9% del Centro-Nord. Mentre gli
investimenti sono scesi del 2,1% annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto
rispetto al Centro-Nord.
DA 7 ANNI IL SUD CRESCE MENO RISPETTO AL NORD - Il risultato e' un Mezzogiorno
in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che
da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord, cosa mai avvenuta dal
dopoguerra a oggi. Un'area periferica da cui si continua a emigrare, dove
crescono gli anziani ma non arrivano gli stranieri, dove esistono realtà
economiche eccellenti ma non si trasformano in sistema ne' si riesce a
intercettare stabilmente investitori e turisti stranieri.
L'EMIGRAZIONE AL NORD - nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il
massimo dei voti; tre anni piu' tardi la percentuale e' balzata a quasi il 38%,
rileva Svimez nel Rapporto sul'Economia del Mezzogiorno 2009. Rispetto ai primi
anni 2000 sono cresciuti i giovani meridionali trasferiti dopo il diploma al
Centro-Nord e si sono laureati li' e li' lavorano. In dieci anni, tra il 1997 e
il 2008, circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel 2008 il
Mezzogiorno ha perso oltre 122mila residenti a favore delle regioni del
Centro-Nord a fronte del rientro di circa 60 mila persone.
Riguardo alla provenienza, oltre l'87% delle partenze ha origine in tre regioni:
Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia piu' forte in Campania (-25 mila), a
seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12,2 mila e 11,6 mila unita' in
meno. Nel 2008 sono stati 173.000 gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con
un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, 23 mila in piu' del 2007
(+15,3%). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a
casa nel week end o un paio di volte al mese". Le regioni che attraggono
maggiormente i pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio.
IL PROBLEMA DELL'ACCESSO AL CREDITO - L'accesso al credito resta un grosso
problema per le imprese del Sud. Tra il 1990 e il 2001 il numero di banche
presenti nell'area si e' ridotto del 46% contro il 20% del Centro-Nord. Il
numero di banche meridionali indipendenti, sia Spa che Banche popolari, e'
crollato da 100 del 1990 a 16 del 2004; negli stessi anni le banche di credito
cooperativo (BCC) si sono piu' che dimezzate (da 213 a 111). Mentre resta forte
la dipendenza dal Centro-Nord del sistema bancario meridionale: nel periodo in
questione le banche appartenenti a gruppi dell'altra ripartizione sono salite da
0 a 21, con una forte diffusione in Basilicata, Calabria e Sardegna. E' per
questo che resta il grande problema dell'accesso al credito: al Sud dal 2004 al
2006 il 9,3% delle imprese ha lamentato difficolta', contro il 3,8% del Nord.
I brevi cenni alla situazione economica e finanziaria delle regioni meridionali
ci introducono alla comprensione dell’analisi sul sistema abitativo, che
evidenzia le stesse caratteristiche di criticità del resto delle aree
metropolitane, con qualche particolarità.
Oltre a cause storiche che hanno determinato una minore intensità nell’acquisto
dell’abitazione, il disagio è conseguente alle condizioni economiche che
determinano una domanda di alloggi in affitto molto maggiore di altre zone. In
particolare la richiesta di edilizia pubblica è molto elevata. Mentre le domande
di contributo all’affitto risultano inferiori alle aspettative statistiche.
Risulta evidente che il rapporto locatizio privato è caratterizzato dalla
fortissima evasione ed elusione nel settore delle locazioni in particolare nella
forma scritta del contratto e conseguentemente nella registrazione dello stesso
(requisiti necessari per fare richiesta di FSA). Resta comunque alta l’incidenza
del canone di locazione privato sui redditi delle famiglie in affitto nelle
regioni meridionali.
Nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, come ben sottolineato qualche
anno fa la Corte dei Conti, vi è un tasso elevato di morosità che aggiunto ad
una gestione poco efficiente degli enti gestori ne sta provocando il collasso
economico. L’insieme dei bilanci in forte sofferenza accompagnato dal disimpegno
nel settore dell’edilizia pubblica dello Stato, delle regioni ed Enti locali
rende difficile ogni prospettiva di programmazione di nuovi investimenti.
E per regioni ed enti locali, il futuro finanziario non solo del settore
abitativo, è denso di nuvole. Infatti con l’attuazione del Federalismo fiscale
il sistema dei trasferimenti subirà una pesante modificazione, che costringerà
ad un ripensamento dell’intero sistema di welfare locale, in particolare
rispetto al sistema dell’offerta pubblica dell’abitare e dei suoi strumenti di
gestione.
Questa zona del Paese è troppo spesso preda dei fenomeni dell’abusivismo
edilizio, non sono abitativo ma anche industriale, commerciale e turistico. La
cronaca di questi giorni ci riporta all’altissimo prezzo di vite umane che costa
il degrado ambientale ed edilizio.
Ma nella costruzione di una iniziativa forte di sensibilizzazione di queste
difficoltà è necessario non fermarsi all’analisi dei problemi che abbiamo
evidenziato. Serve costruire una proposta politica forte e credibile da porre
sul piatto e sulla quale indurre la politica e la società a confrontarsi. Il
SICET questa proposta ce l’ha e la propone a tutti coloro i quali dimostrano
interesse e disponibilità ad aprire un’interlocuzione.
La priorità deve essere la riforma della legge 431/98 sulle locazioni private,
definendo un unico regime contrattuale per l’abitazione principale basato su una
convenzione nazionale che determina le condizioni di quadro economico e
normativo entro il quale si svilupperanno gli accordi territoriali sui canoni di
locazione.
Rispetto all’attuale legge si devono aumentare le convenienze fiscali a favore
di inquilini e proprietari e si deve allargare la possibilità di stipula degli
accordi a tutto il territorio nazionale, non confinando (come ora) la
possibilità di determinare il canone concordato ai soli comuni ad alta tensione
abitativa.
La nuova legge dovrà condizionare la richiesta di licenza per tutte le tipologie
di rilascio alla regolarità normativa e fiscale dei contratti, e introdurre
modalità di regolazione dell’uso della forza pubblica nelle fasi esecutive.
Riteniamo sia possibile introdurre regimi speciali del contratto a canone
concordato, opportunamente regolato dagli accordi integrativi locali, per
sistemi d’offerta abitativa con finalità di Housing Sociale per i quali i canoni
siano agganciati ai valori minimi degli accordi territoriali e applicati con
riferimento ai redditi degli inquilini. In questo caso dovrebbero concedersi
fiscalità di vantaggio a compensazione degli obblighi di servizio che il privato
locatore si assume. Questa modalità permette una maggiore chiarezza rispetto
all’idea di trasferire sull’ERP e sulla finanza pubblica compiti di provvista di
alloggi a canone sostenibile.
Le nuove norme sulla finanza pubblica non permetteranno l’allocazione di risorse
nazionali fuori dai “fabbisogni standard” per finanziare i livelli essenziali
delle prestazioni, pertanto l’unico modo per dare una risposta strutturale ai
problemi abitativi non può che incardinarsi su una legge quadro nazionale per il
welfare abitativo, che definisca “i livelli essenziali delle prestazioni” per
promuovere e garantire la convergenza delle legislazioni regionali su criteri
d’accesso e standard di servizio dell’offerta abitativa pubblica uniformi in
tutto il territorio nazionale.
La situazione odierna vede un florilegio di regimi differenti per ognuna delle
20 regioni, sia per la disciplina degli accessi e i sistemi di valutazione della
capacità economica del nucleo famigliare, sia per la valutazione del disagio
abitativo, sia per le modalità di determinazione e di applicazione dei canoni.
Serve un sistema di “indici nazionali di situazione” tramite i quali definire la
domanda sociale da mettere a carico delle politiche di welfare e garantire
l’accesso al servizio pubblico abitativo secondo graduatorie di bisogno
effettivo.
Prima però occorre rimuovere norme, come quella introdotta dal Piano casa
Berlusconi Tremonti (art 11 Legge 133/2008) e altre di uguale tenore presenti in
alcuni ordinamenti regionali sull’ERP che limitano l’accesso ai servizi di
welfare abitativo, ai sussidi per il pagamento dei canoni di locazione ai
cittadini immigrati extracomunitari, opponendo criteri di selezione del bisogno
di contenuto xenofobo o razzista per escludere parte dei settori più deboli
della popolazione. A nostro giudizio sussistono condizioni di illegittimità
sotto il profilo costituzionale e la violazione del diritto comunitario.
La legge quadro avrebbe il compito di stabilire le scelte di fondo sui modelli
organizzativi del servizio abitativo pubblico e sul regime dei beni,
salvaguardando la proprietà pubblica e le finalità sociali d’istituto, mettendo
perciò fine alla dismissione generalizzata del patrimonio esistente di ERP.
Rispetto alle scelte di fondo delle politiche abitative pubbliche necessita
riformare il decreto ministeriale sulla definizione di “alloggio sociale”
riservandone la qualificazione al solo patrimonio di edilizia sovvenzionata a
canone sociale. Gli alloggi di edilizia agevolata o convenzionata in locazione a
canone sostenibile o in vendita saranno sottoposti a diverse forme compensative
degli obblighi di servizio come premialità edificatorie, o fiscali nel caso di
applicazione del regime a canone speciale, ipotizzato nella riforma della
L.431/98
Con la legge quadro si dovrebbe istituire l’”Osservatorio nazionale sulla casa”
e il “Piano nazionale degli interventi e dei servizi abitativi di Edilizia
Pubblica Sociale”, sostenuto da un “Fondo nazionale per le politiche abitative”
corrispondente al contributo speciale dello Stato previsto dalla legge sul
federalismo fiscale. Il “Piano nazionale” stabilite le soglie critiche o
d’attenzione per le prevalenti tipologie di disagio localizzato, fisserebbe il
quadro di riferimento per la programmazione regionale cui spetterebbe modulare e
organizzare l’offerta prioritaria dei servizi abitativi sul territorio.
Il Fondo nazionale determinerebbe la provvista finanziaria da assegnare alle
regioni per garantire i livelli essenziali e uniformi delle prestazioni sociali,
attraverso il sovvenzionamento dei programmi di conservazione e sviluppo e il
rifinanziamento dei “Contratti di Quartiere” per la rigenerazione delle
periferie in crisi.
Una politica di Welfare abitativo come quella che proponiamo non potrebbe
rimanere slegata da un intervento sulla politica e la normativa urbanistica.
Anzitutto perché nel mezzo della stessa normativa per il governo del territorio
c’è la questione irrisolta della definizione e della garanzia dei “livelli
essenziali dei servizi e delle prestazioni urbanistiche”.
Messa in crisi la disciplina dello standard e dell’esproprio per pubblica
utilità, anche un’urbanistica secondo il modello oggi prevalente della
pianificazione per accordi, ha in ogni caso il problema di garantire la
provvista d’infrastrutture, attrezzature collettive e aree per supportare la
costruzione della “città pubblica”.
Tanto per la legge d’indirizzo nazionale, quanto per le sottostanti normative
regionali, per fare integrazione tra politiche dei servizi e politiche delle
residenza, ci sembra allora indispensabile un intervento su tre punti
principali.
Il primo punto è la garanzia di una consistente “dotazione territoriale per
l’edilizia residenziale pubblica”. I meccanismi della perequazione urbanistica
vigenti, lungi dal rappresentare un nuovo regime dei suoli, intanto, dovrebbero
garantire ai comuni, nello scambio pubblico-privato dei diritti edificatori
assegnati ai comparti d’intervento, una quota importante di aree in cessione
gratuita, o l’attribuzione della quota di diritto edificatorio, per costituire
una riserva d’edificabilità non residuale da destinare all’ERP.
Il secondo punto d’intervento è l’introduzione nella norma urbanistica di
“modelli procedurali e organizzativi” che garantiscano l’effettivo esercizio
della partecipazione degli abitanti nelle azioni di pianificazione.
Infine sul tema primario della rigenerazione urbana, è necessario l’inserimento
nel sistema della pianificazione comunale di uno specifico strumento
d’intervento sulle periferie, vale a dire un “Piano strategico delle periferie”
di cui si dovrebbero dotare i Comuni, singoli o associati, come basilare
strumento di programmazione partecipata per l’attuazione di politiche integrate
di rigenerazione e di sviluppo locale sostenibile. E’ nel Piano strategico che
troverebbero ruolo e cittadinanza molte delle idee che vanno tanto di moda, le
premialità urbanistiche e volumetriche, le compensazioni, le sostituzioni, gli
interventi integrati, l’ERP, il privato e il privato sociale, i servizi, le
attività produttive e commerciali, il risparmio energetico, e quant’altro la
progettazione partecipata riesce a rendere compatibile con il quartiere e il suo
sviluppo.
Il contrario del Piano strategico è la dismissione generalizzata che non governa
nessuno, che privatizza il disagio, che lascia inalterata quando non intensifica
l’insicurezza e il degrado. L’esperienza dei contratti di quartiere segna
davvero la rivitalizzazione del Patrimonio degradato trasformandolo in capitale
vivo e vissuto.
Stabilito così il quadro di riferimento generale per le politiche sociali sulla
casa, il programma sindacale sposta il suo baricentro sui livelli locali, non
solo per la mutata dislocazione dei poteri e delle funzioni amministrative sulle
Regioni e i Comuni, ma perché l’azione di contrasto alla povertà e al disagio
abitativo, oltre ad un sistema di tutele e garanzie fissato dalla normativa,
esige un’organizzazione dell’offerta sociale e di welfare a scala di quartiere o
di area urbana.
Sotto questo aspetto, due sono le sfide che impegnano oggi e in prospettiva
l’azione sindacale:
La prima è la salvaguardia e lo sviluppo del servizio abitativo pubblico
regionale, affinchè il riassetto in corso dell’ordinamento e dei profili di
servizio dell’ERP non si risolva in un conclusivo e irrimediabile travisamento
delle funzioni di protezione e coesione sociale ma, anzi:
• si recuperino flussi di spesa importanti per accrescere l’offerta di alloggi
sociali e migliorare la qualità abitativa degli insediamenti esistenti;
• si recuperi efficienza ed economicità della gestione pubblica del servizio;
• si recuperi efficacia sociale dei criteri di accesso e di canone.
La seconda sfida è la partecipazione ai processi di pianificazione e
programmazione per lo sviluppo delle politiche locali d’offerta sociale, per
promuovere una gestione urbanistica della città coerente con gli obiettivi
d’inclusione sociale, di sviluppo urbano sostenibile,di recupero delle periferie
urbane e dei quartieri degradati, di tutela ambientale e di efficienza
energetica.
Le regioni del sud troverebbero da subito in una simile impostazione strategica
ruolo, opportunità e protagonismo.
L’unica possibilità di portare sicurezza e legalità ai quartieri periferici è
data dall’attuazione di grandi progetti di rigenerazione urbana. Qualsiasi altro
modalità di presidio del territorio è destinata al fallimento. Lo Stato è in
grado di gestire il territorio solo se propone un modello di città pubblica che
offre ai cittadini opportunità e protagonismo.
Personalmente ho potuto constatare che dei giovani abitanti dei quartieri di
ERP, mettevano sul curriculum personale l’indirizzo di parenti che abitavano in
altre zone altrimenti non avrebbero mai ricevuto alcuna offerta di lavoro.
Una società civile non può accettare una simile situazione.
Per questo motivo noi riteniamo inadeguato il Piano casa del Governo. Così come
congegnato potrà forse dare qualche migliaio di case a famiglie con redditi
superiori a 35/40.000 Euro all’anno che in sé non è un male, ma non incide sulle
famiglie sfrattate perché non possono pagare l’affitto, non incide sui giovani
che intendono emanciparsi dalla famiglia d’origine.
Per rendere operativo l’incontro di oggi chiediamo alle regioni presenti alcune
cose concrete da poter verificare in tempi brevi:
• Per chi non l’ha ancora fatta, la riforma degli Enti gestori dell’ERP e
l’immediata chiusura delle gestioni commissariali, sapendo che il nostro non è
un giudizio sull’operato dei singoli commissari, bensì l’espressione della
volontà di tornare alla normalità;
• La costituzione di osservatori regionali sulla condizione abitativa che
mettano a disposizione dati e informazioni per poter leggere la realtà e
impostare risposte adeguate;
• Il costante monitoraggio di tutte le risorse disponibili e del loro utilizzo,
comprendendo i fondi strutturali della UE per la coesione sociale e, come
stabilisce il DPCM sul piano casa, la destinazione dei fondi FAS per l’ERP;
• Un sostanziale stanziamento a favore del FSA per compensare i tagli del
Governo e la modifica delle norme tali da garantire l’immediato impiego delle
risorse, perché tutti sappiamo che il rischio della morosità è sempre più in
agguato.
Una positiva risposta a queste richieste potrebbe essere l’avvio di un lavoro
proficuo che ridarà speranza ai giovani e motivi di sviluppo al Sud d’Italia.