accolto il ricorso sindacale:

rinviata alla corte per sospetta incostituzionalità la LR 7/05

commento di cisl e sicet lombardia

 

1. Con ordinanza n. 108/06, depositata il 27 luglio, la 3a Sezione del TAR della Lombardia ha rinviato alla Corte Costituzionale, perché ne dichiarasse l’incostituzionalità, la LR 7/05, unitamente al Regolamento regionale 5/06 per l’assegnazione e gestione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), laddove prevedono sia uno sbarramento di 5 anni – di residenza o lavoro in Regione – per l’ammissibilità delle domande, sia che l’anzianità di residenza sia conteggiata ai fini del punteggio per la collocazione in graduatoria delle domande accolte.

2. Hanno presentato ricorso – con l’assistenza di SICET e SUNIA, CISL e CGIL della Lombardia – una ragazza-madre con una bambina di un anno, italiana ma nata e cresciuta a Napoli, vale a dire “non lombarda”; e una coppia ecuadoregna, con una bambina di 10 anni e regolare permesso di soggiorno.

Entrambi i nuclei familiari ricorrenti erano costretti a pagare un affitto privato incompatibile con il loro reddito, risiedevano e lavoravano in Lombardia dalla fine del 2001, e hanno presentato domanda per una casa popolare nell’ottobre 2005, prima cioè che decorressero i 5 anni prescritti. Solo per questo sono stati esclusi dal bando

3. L’ordinanza che accoglie il ricorso sindacale ha contenuti innovativi e di straordinaria importanza; contenuti che, se accolti dalla Corte, avranno effetti che si dilateranno ben oltre il caso specifico, riverberandosi su tutto il servizio abitativo nazionale e sull’intero sistema di welfare.

 

Le eccezioni (strumentali) della Regione

4. Per prima cosa il TAR ha respinto le eccezioni d’inammissibilità avanzate dalla Regione, riformando anche precedenti sentenze, e riconoscendo:

4.1. La piena legittimità anche di CGIL e CISL, e non solo dei Sindacati inquilini, a rappresentare gli interessi abitativi.

Al riguardo il Collegio ha argomentato che la Costituzione repubblicana, all’art. 3 – laddove “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità” – assegna valore costituzionale alla funzione di rappresentanza, anche legale, dei soggetti portatori di interessi collettivi, seppure a determinate condizioni.

Nello specifico, i sindacati ricorrenti – per finalità statutarie, stabile organizzazione, coincidenza territoriale, nonché per la rilevanza giuridica dell’interesse in gioco e cioè l’accesso alla casa delle categorie più disagiate – erano tutti pienamente legittimati ad agire in giudizio.

Vale la pena di ricordare che, due anni fa – con sentenza n. 4196 del 29.4.2004 sullo stesso oggetto – la 1a Sezione dello stesso TAR aveva riconosciuto la legittimazione dei soli sindacati inquilini, ma non di quelli confederali.

4.2. L’inesistenza di conflitto d’interesse tra le due famiglie ricorrenti, in conseguenza del fatto che ad essere messo a bando era un unico alloggio (come ha sostenuto la Regione).

Al riguardo il Collegio ha facilmente osservato che le domande, se ammesse in graduatoria, sarebbero rimaste valide per 3 anni (per 6 aggiornamenti semestrali) e avrebbero quindi concorso all’assegnazione non solo dell’unico alloggio temporaneamente disponibile, ma anche di quelli futuri. Pertanto, lungi dal­l’essere in conflitto tra loro, le ricorrenti sono piuttosto portatrici del coincidente interesse a far dichiarare illegittima l’esclusione dall’accesso all’ERP di tutti coloro che non possono vantare 5 anni di residenza in territorio lombardo.

 

Profili d’incostituzionalità

5. Respinte le eccezioni preliminari ed entrando nel merito, il TAR ha poi ritenuto che la LR 7/05 e il conseguente Regolamento, sono in contrasto con ben 10 articoli della Costituzione, e precisamente per:

violazione dell’art. 117, comma 3: osserva il Collegio che la materia dell’ERP, anche dopo la riforma del Titolo V, rientra nella competenza legislativa concorrente Stato/Regione, dovendosi l’ERP collocare nell’ambito del “governo del territorio”, incluso appunto nel comma che la Costituzione dedica a questo genere di competenza. Laddove vige un regime di concorrenza, com’è noto, allo Stato è riservata la “determinazione dei principi fondamentali”, da cui la legislazione regionale non può discostarsi.

La legislazione statale, fin dal lontano 1938, ha assegnato all’ERP la finalità “di favorire l’accesso all’abitazione […] a categorie di cittadini meno abbienti”. Ne consegue che la correlata funzione amministrativa, qualificata come “servizio pubblico”, deve garantire tale finalità, e quindi considerare, ai fini dell’assegnazione, le condizioni di bisogno dei richiedenti.

La normativa lombarda, invece, introducendo un requisito d’accesso legato alla residenza o al lavoro in Regione, protratto per almeno 5 anni, rischia di escludere proprio gli aspiranti più deboli e in condizioni di maggior bisogno; e contrasta quindi con le finalità istituzionali dell’ERP, da qualificarsi come principi fondamentali, riservati dalla Costituzione in via esclusiva alla legislazione statale.

violazione dell’art. 117, comma 2, lett. m: per gli stessi motivi, prosegue il TAR, la norma regionale contrasta anche con il dettato costituzionale, laddove riserva alla legislazione esclusiva dello Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

violazione dell’art. 3: si tratta dell’articolo che afferma il principio dell’uguaglianza sostanziale dei cittadini, e che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli, d’ordine economico e sociale, che limitano di fatto” l’uguaglianza e la libertà.

Argomenta limpidamente il TAR che la Regione, introducendo requisiti, che con la finalità dell’ERP “non hanno alcun rapporto”, quali la residenza o il lavoro protratti per 5 anni, corre il rischio di escludere proprio coloro che si trovano in maggiore difficoltà, perché non radicati da lungo tempo, o perché alla ricerca di un lavoro. Il che “appare in palese contrasto con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza sostanziale, sanciti dalla Costituzione”.

violazione dell’art. 120: osserva ancora il Collegio che la norma regionale “rende più difficoltosa la mobilità tra le Regioni a chi versi in stato di bisogno, e rende difficile lavorare a chi non è da tempo insediato”. Questo in palese contrasto con la Costituzione, che vieta alle Regioni di adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone tra Regioni diverse, o limitino il diritto al lavoro in qualsiasi parte del territorio nazionale.

Violazione degli artt. 101, 102, 103, 104 e 111: il TAR ricorda poi puntigliosamente che, con precedente sentenza (la n. 4196/04, a seguito di precedente ricorso sindacale unitario), aveva già annullato il Regolamento per l’assegnazione delle case popolari, sul punto ove introduceva, per la formazione delle graduatorie, il punteggio di residenza; giudicandolo un elemento estraneo alla ratio della normativa sull’ERP, e tale da “determinare uno sviamento della funzione amministrativa dalle finalità sue proprie”.

La Regione, tuttavia, invece di appellare tale sentenza, come sarebbe stato suo diritto, ha ritenuto di modificare le fonti normative – riconfermando per legge, anziché con regolamento, il punto annullato – anche al fine di neutralizzare la pronuncia del giudice amministrativo. Per sentirsi oggi dire, dallo stesso tribunale, che così facendo la Regione ha violato l’intero disposto costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale, a cominciare dal fondamentale principio (l’art. 101 Cost.) che il giudice è soggetto soltanto alla legge (e non alle acrobazie del Consiglio regionale).

Violazione dell’art. 17, comma 1, in relazione all’art. 39 del Trattato CE: il richiamato art. 39 del Trattato stabilisce il diritto dei lavoratori alla libera circolazione nell’ambito della Comunità europea, ivi compreso il diritto a spostarsi liberamente e a prendere dimora nel territorio degli Stati membri. Osserva, da ultimo, il TAR che la norma regionale appare in contrasto con tale disposto; e quindi con la Costituzione, laddove stabilisce che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto dei vincoli “derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

 

Contenuti generali

6. Un’illustrazione puntuale dei contenuti dell’ordinanza ne pone in luce la valenza generale, a cominciare dal riconoscimento, ai sindacati confederali, della legittimazione attiva in materia di diritti sociali.

Sono soprattutto due, però, i contenuti di questa recente pronuncia che interrogano la più generale iniziativa sindacale, ben al di là della specifica vicenda lombarda.

 

L’assetto normativo del pubblico servizio all’abitare

6.1. Come s’è visto, l’ordinanza stabilisce che la materia dell’ERP, “autorevolmente qualificata servizio pubblico”, è oggetto di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, essendo da collocarsi – dopo la modifica del Titolo V - nel complesso ambito del “Governo del territorio”, che riunisce le vecchie ripartizioni dell’Urbanistica e dell’Edilizia (per lo più coincidenti con i Lavori Pubblici).

Nel vigente assetto normativo dunque – ed è bene ribadirlo, anche dopo la modifica del Titolo V – l’ERP – o, più precisamente, il servizio pubblico all’abitazione – è materia soggetta alla legislazione regionale per quanto riguarda programmazione, attuazione e gestione, mentre compete allo Stato determinarne i principi fondamentali, cui le Regioni devono attenersi.

Compete ancora allo Stato determinare i livelli essenziali delle prestazioni di questo servizio sociale, da garantirsi su tutto il territorio nazionale.

Ed è – o dovrebbe essere – pacifico che, quando ricadono sullo Stato così rilevanti competenze, ne consegue un obbligo di finanziamento, almeno “concorrente”.

Quando alcune forze politiche – come, per fare un esempio non a caso, la Lega Nord – proclamano “la casa in Lombardia la diamo a chi vogliamo noi”, fanno, quindi, un’affermazione priva di fondamento, o, peggio, intendono deliberatamente violare le leggi repubblicane, come viene affermato dal TAR e come dovrebbe confermare prossimamente la Corte costituzionale.

 

6.2. Il problema, però, è che da anni le competenze statali sono del tutto trascurate, mentre, tanto nelle opinioni, quanto nella prassi delle Regioni e degli Enti locali – ben prima della modifica del Titolo V, e ancor prima della “riforma a Costituzione invariata” operata delle Bassanini (in sostanza, dall’abrogazione delle GESCAL) – prevale la falsa idea che:

§         non esiste più un servizio abitativo nazionale;

§         la materia è di competenza esclusiva delle Regioni;

§         le Regioni (unitamente ai Comuni) – nel vuoto di regole e finalità riconosciute – possono fare e disfare al riguardo come più loro aggrada.

Avviene così che le varie “tessere” che compongono il “puzzle” di questo servizio vadano ciascuna per suo conto: che si legiferi in materia urbanistica ignorando il fabbisogno abitativo insoddisfatto; si stabiliscano Piani comunali dei servizi dimenticando la casa; si approvino Regolamenti edilizi trascurando le norme tecniche per l’edilizia sociale; e che, in materia gestionale, si vada a ruota libera, deliberando criteri aziendal/privatistici, piani di dismissione, affidamenti ad immobiliari private, mutamenti di destinazioni d’uso, in spregio delle finalità sociali tuttora sancite dalla legge.

in tale contesto, il caso della LR lombarda 7/05 ha fatto scalpore, se si vuole, per il massimalismo dell’imposizione leghista, ma è solo la punta di un iceberg, dentro un più generale, diffuso processo di dismissione del servizio abitativo e di negazione del diritto primario all’abitazione.

 

6.3. è di tutta evidenza, però, che – a fronte della riconosciuta recrudescenza della crisi abitativa – occorre in particolare che, a livello nazionale:

§         da un lato, si fissino al più presto “principi fondamentali” di un modello, aggiornato e coerente, di servizio pubblico abitativo, che indirizzi adeguatamente la legislazione regionale e ponga un freno all’improvvisazione;

§         dall’altro, siano precisati i “livelli essenziali delle prestazioni” e il relativo finanziamento.

Determinazione normativa che riveste carattere d’urgenza, se non si vuole chiudere la stalla quando i buoi sono scappati, e che non resti più nulla da regolare.

 

Residenza e sistema di welfare

6.4. Nell’invocare il doveroso rispetto del Trattato CE, il Tar della Lombardia ha anche richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la quale ha da tempo sancito che il criterio della residenza, come presupposto dell’accesso a benefici o servizi pubblici – non solo quindi abitativi – può essere ammesso solo se:

§         è riferibile a condizioni oggettive, che prescindano dalla cittadinanza delle persone interessate;

§         non è in contrasto con lo scopo perseguito dal diritto nazionale; in altre parole, con le finalità generali assegnate dalla legislazione dei singoli Stati agli specifici servizi pubblici.

Nel nostro caso – sulla scorta di sentenze che, dal 2004, stabiliscono che il criterio della residenza, come introdotto nel Regolamento per l’assegnazione degli alloggi pubblici, è in palese contrasto con la ratio sottesa all’intera legislazione dell’ERP – non era difficile argomentare che tale criterio confligge con “lo scopo perseguito dal diritto nazionale”, e quindi con la norma europea e con la Costituzione.

Se tale giudizio sarà confermato dalla Corte Costituzionale, le conseguenze andranno, però, ben al di là del caso specifico.

6.4.a. Per quanto riguarda il servizio dell’ERP, non sarà da riscrivere solo la normativa lombarda, ma gran parte delle leggi regionali, dove criteri di sbarramento legati alla residenza – se si vuole meno “esagerati” che in Lombardia – sono stati diffusamente introdotti, spesso nell’indifferenza, se non con il consenso, sindacale. Basti ricordare la legislazione di molte Regioni a statuto speciale, che prevedono restrizioni fortemente discriminatorie, quote etniche, ecc.

6.4.b. Ma è sulla generalità dei pubblici servizi, e sulla loro regolamentazione a livello non solo nazionale, ma anche europeo, che si aprirà un terreno d’iniziativa sindacale, a tutela dell’universalità dei diritti sociali, e contro le risorgenti chiusure campanilistiche.

 

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7. Resta da osservare che l’ordinanza, nel sospendere il giudizio nell’attesa del pronunciamento della Corte, ha mancato di sospendere l’attuazione di un Regolamento fortemente sospettato d’incostituzionalità. Considerati i tempi della giustizia costituzionale, resta il problema di come assicurare sicurezza e stabilità dell’alloggio alle famiglie in condizioni di disagio abitativo, evitando un altro anno di assegnazioni illegittime.

 

 

A cura di Michelangelo Spada

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